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Vite straordinarie di persone normali che hanno scelto di vivere la vita di tutti i giorni secondo gli insegnamenti del Vangelo

Location:

United States

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Vite straordinarie di persone normali che hanno scelto di vivere la vita di tutti i giorni secondo gli insegnamenti del Vangelo

Language:

Italian


Episodes
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Una stigmatizzata fuori dal comune

4/24/2024
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7773 UNA STIGMATIZZATA FUORI DAL COMUNI di Rino Cammilleri Ho scrutato attentamente il video che il dottor Paolo Basso da Crema mi ha recapitato sulla beata Maria Domenica Lazzeri, detta la "Meneghina", nata nel 1815 e morta nel 1848. Diciamo subito, per chi non lo sapesse, che si tratta di una stigmatizzata. Stavo per scrivere "la solita stigmatizzata", perché essendomi occupato per trent'anni, ogni giorno, prima sul quotidiano Avvenire e poi Il Giornale, di santi e beati, di stigmatizzate ne ho viste tante. Quante siano potete agevolmente contarle, se avete pazienza, sul sito santiebeati.it. Da Caterina da Siena, a Teresa Neumann, eccetera. Mai, però, avevo considerato il fatto che queste mistiche sanguinanti fossero tutte donne. Sì, abbiamo il Poverello e Padre Pio. E basta, almeno che io ricordi. Tutte le altre sono donne, sempre donne. Queste strane privilegiate dal Cielo in genere non devono far altro che starsene in un letto a patire. Qualcuna ha visioni e detta libri, come Katharina Emmerick. Qualche altra manifesta i dolori della Passione in periodi ricorrenti e limitati, come Natuzza Evolo. Qualche altra ancora, come Elena Aiello, continua a occuparsi dei suoi orfanotrofi. Ma le più devono solo fare le "vittime". Perché donne? Forse perché sono più delicate e fragili? In effetti ciò si accorderebbe con il risultato modus operandi del Cielo: scegliete il personaggio più improbabile onde mostrare che quanto gli accade viene solo esclusivamente dall'Alto. La potenza di Dio si manifesta meglio nella debolezza, come dice Paolo. E più la creatura prescelta è inadeguata, più appare, a chi voglia vederla, l'opera di Dio. RIMANEVA MORTA Naturalmente noi crediamo che la ricompensa per tali "vittime" sarà straordinaria, altrimenti prendere una ragazza minuta e insignificante, confinarla in un letto di dolore senza mangiare, né bere, né dormire, ma solo e sempre sanguinare tra le sofferenze più atroci sarebbe puro sadismo. Ma noi sappiamo che il Creatore è Bontà e Amore, perciò non ci resta che aggrapparci alla Fede. E veniamo alla Nostra. Al solito, nasce in un posto sperduto e dimenticato, Capriana in Val di Fiemme, Trento. Figlia di un povero mugnaio fin da subito conosce la fatica e i geloni alle dita in un tempo e in un luogo in cui se vuoi scaldarti devi prima far legna e accendere il camino. Ultima di cinque figli, dopo qualche anno di scuola, va a servizio, anche perché il padre è nel frattempo morto. Nel 1833, mentre si prodiga per i malati d'influenza, rimane contagiata. A quel tempo o si guarisce o si muore di polmonite. Lei, invece, sviluppa un crescendo di sintomi mai visti prima che in breve la confinano a letto, impedita a mangiare, bere e dormire. Riesce solo a "inghiottire" l'ostia, di cui nell'800 bisogna essere "degni", perciò mensile. Chiamata in paese "meneghina" ("Domeneghina"), ha diciannove anni quando comincia: sudorazione di sangue come nel Getsemani, ferite sulla fronte come da coronazione di spine, stigmate alle mani, al torace e ai piedi. Le mani sono artigliate, come si suppone siano state quelle inchiodate di Cristo, i piedi sempre sovrapposti. Ogni venerdì, all'ora della morte di Cristo, anche lei rimane morta per diverso tempo. Sì, morta. Indi si rianima e si riparte con il calvario. IL SANGUE OLTRE LA GRAVITÀ Gli scienziati che scrutano il caso sono intrigati anche dal fatto che su di lei il sangue gocciola non seguendo la gravità, ma come se davvero fosse appesa verticale a una croce. E ciò accade tutti i venerdì, per quattordici anni (per chi ama le coincidenze sempre in questi casi c'è il bicchiere mezzo pieno: la mistica è in grado di seguire omelie pronunciate in altri luoghi e di riferire cose dette altrove, di comprendere lingue straniere e pure antiche, di bilocarsi). Naturalmente, il caso fa scalpore e in breve la sua casa è assediata da visitatori provenienti da ogni dove. Anche semplici curiosi, certo. Ma per...

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Principessa, schiava e infine suora

4/9/2024
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7755 PRINCIPESSA, SCHIAVA E INFINE SUORA di Rino Cammilleri Oggi parliamo di una suora africana, negra ed ex schiava. No, non si tratta di Giuseppina Bakhita, che è già canonizzata. Mi riferisco a Teresa Chikaba, che non era sudanese come Bakhita, ma veniva dall’Africa subsahariana, quella che ai suoi tempi veniva chiamata Africa nera. Teresa Chikaba è in attesa di beatificazione, e sarebbe anche l’ora, dati i molti miracoli testimoniati per sua intercessione. Ma andiamo con ordine. Non sappiamo se avesse altri nomi oltre a Chikaba; in base ai suoi racconti sappiamo che era nata in Guinea nel 1676 e che era una principessa. Ora, il termine principessa ci fa subito pensare alle case reali europee, col loro fasto e le trine e le parrucche incipriate. Quanto fosse esteso il "regno" di suo padre non è dato conoscere, ma è probabile che quest’ultimo non fosse altro che uno dei tanti capitribù. Chi comandava davvero da quelle parti erano i portoghesi, che avevano fatto della Guinea, insieme ai confinanti Angola e Mozambico, una loro colonia fin dal secolo precedente. Sì, perché, dopo che il rullo islamico aveva spazzato via l’Africa romana e cristiana, il continente aveva visto secoli di guerre inter-tribali per procurarsi schiavi da vendere agli arabi. Fino a quando i navigatori portoghesi nel XV secolo non inaugurarono il ritorno dei missionari al seguito dei coloni. FUTURA REGINA Dietro esploratori e poi coloni spagnoli, francesi e, via via, olandesi belgi, inglesi, tedeschi e infine italiani, la parola Vangelo era rientrata in Africa, con i suoi successi più o meno limitati e i suoi, ovviamente, martiri. Per questo è altresì probabile che la famiglia di Chikaba, i suoi genitori e i fratelli fossero venuti in contatto con i missionari cattolici, dato che questi sempre seguivano la fondazione di una colonia da parte di una potenza cattolica. Lei stessa narrò che, una volta, dovendo seguire la sua famiglia nel prescritto pellegrinaggio all’idolo che i nativi chiamavano Lucero, mentre eseguiva la prostrazione rituale sentì una sorta di vuoto dentro, un senso di insoddisfazione infinita, una delusione cocente. Perché? Qualunque cosa fosse quella sensazione inaudita e insopportabile, fu forse l’inizio della sua conversione. In ogni caso, il risultato fu per lei un desiderio di imitazione dei missionari cristiani, nel senso che da allora prese a occuparsi dei malati, dei bambini, dei bisognosi con un trasporto che finì col procurarle la stima degli altri indigeni. Tanto da allarmare i suoi fratelli. Infatti, questi temevano che, quando fossero morti i loro genitori, il popolo avrebbe riversato il suo favore su Chikaba, eleggendo lei come regina e defraudando le aspettative dei maschi della famiglia sul trono. Chikaba dovette fare i salti mortali per rassicurarli: non aveva alcuna mira politica, anche se non sapeva bene nemmeno lei che cosa volesse nella vita. In ogni caso, ci pensarono gli eventi a decidere per lei. RAPITA DAGLI SPAGNOLI Un brutto giorno un raid di razziatori spagnoli rapì lei e altri nativi per venderli come schiavi. Non avrebbe rivisto mai più la sua terra e la sua famiglia. Caricata con gli altri schiavi su una nave, fu portata in Spagna. Durante il tragitto i trafficanti appresero che si trattava di una principessa e cominciarono a trattarla bene. Oh, non per riguardo al rango, ma perché da lei si poteva cavare un miglior prezzo. Infatti, venne acquistata dai duchi di Mancera, che la portarono nel loro palazzo di Madrid. La differenza tra gli schiavi domestici nei luoghi cattolici e in quelli protestanti stava in questo: i primi erano considerati dei paggi e praticamente adottati, entravano cioè a far parte della famiglia, come si può vedere in molti dipinti dell’epoca. Gli spagnoli non tenevano dunque schiavi? Sì, ma si trattava quasi sempre di saraceni catturati e messi ai remi o adibiti ai lavori più pesanti, in attesa di poterli scambiare...

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Il buon ladrone a cui Gesù promette il paradiso subito

3/26/2024
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7736 IL BUON LADRONE A CUI GESU' PROMETTE IL PARADISO SUBITO di Roberto De Mattei La liturgia latina della Chiesa ricorda il 25 marzo san Disma, il buon Ladrone, a cui Gesù disse sul Calvario: "Oggi sarai con me in Paradiso". La scelta del 25 marzo non è casuale. Questa data non è solo quella dell'Annunciazione e dell'Incarnazione del Verbo ma secondo un'antica tradizione è anche il giorno in cui il Salvatore dell'Umanità consumò il suo supremo sacrificio. Il Vangelo ci dice che sul Calvario crocifissero Gesù con due Ladroni, mettendone uno alla sua destra e uno alla sua sinistra (Lc, 23, 39-42). Ne conosciamo il nome dai Vangeli apocrifi: Disma il buon Ladrone e Gisma, o Gesta il cattivo Ladrone. La parola Ladrone non deve trarre in inganno. Il termine Latrones indicava i briganti da strada, non solo ladri, ma assassini e rapinatori, puniti di morte presso tutti i popoli dell'antichità. Per umiliare Gesù furono scelti i più scellerati tra i tanti che riempivano le prigioni di Pilato. Disma era un capo brigante, probabilmente egiziano, vissuto e invecchiato tra i delitti più gravi, tra i quali quello di fratricidio. Sulla sua croce era scritto: Hic est Dismas latronum Dux La morte in croce era tra le più dolorose e il condannato soffriva terribilmente, sospeso a quattro chiodi. I due malfattori imprecavano tra gli spasimi, mentre Gesù sopportava i tormenti con pazienza inalterabile. Le sue prime parole sulla Croce furono di misericordia per i suoi carnefici: "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno" (Lc, 23, 24). Entrambi i Ladroni ascoltarono queste parole, entrambi ricevettero la grazia sufficiente a riconoscere l'innocenza di Cristo, ma uno si convertì, l'altro continuò a bestemmiare. San Luca racconta che dei due ladri, appesi alla Croce accanto a Cristo, uno si beffava di lui dicendogli: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!". Ma l'altro lo rimproverava: "Neanche tu hai timore di Dio, benché condannato alla stessa pena? Noi giustamente siamo condannati alla Croce, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male". E aggiunse: "Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Gesù gli rispose: "In verità io ti dico che oggi sarai con me in Paradiso" (Lc, 39-43). Disma dunque insorge alle parole di oltraggio contro Gesù del suo compagno di rapine e lo corregge apertamente, in maniera severa, accusandolo di non capire che Gesù è innocente, mentre loro sono colpevoli e giustamente condannati. Il suo è un atto di pentimento, ma egli non si limita a riconoscere le proprie colpe, proclama l'innocenza di Cristo, dicendo: "Non ha fatto niente di male". Lo proclama, quando tutto il mondo condanna Gesù e gli Apostoli tacciono. Disma rompe il silenzio, afferma pubblicamente la verità. LA GRAZIA DELLA FEDE Per affermare l'innocenza di Gesù era sufficiente la luce della ragione, illuminata dalla grazia, per proclamarlo Dio era necessaria la grazia sfolgorante della fede. Dopo aver difeso Gesù contro il cattivo ladrone, Disma riceve la grazia della fede soprannaturale che esprime nelle parole: "Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno"(Lc, 23, 42). Non era tra coloro che avevano seguito Gesù nella sua predicazione, nessun angelo glielo aveva suggerito. Non vedeva la Divinità di Cristo, ma un'umanità sfigurata dalle sofferenze. Eppure, pur vedendolo crocifisso, non dubitò che fosse Dio. San Roberto Bellarmino dice, "Chiama Signore uno che guarda nudo, ferito, sofferente, deriso e schernito pubblicamente, appeso con lui e afferma che dopo la morte andrà nel suo regno. Da ciò si comprende che egli non sognava un regno temporale di Cristo sulla terra, come aspettavano i Giudei, ma un regno eterno dopo la morte nel Cielo. Chi gli aveva insegnato misteri così alti? Nessuno certamente, se non lo spirito di verità" (Le Sette parole di Cristo, in Scritti spirituali, Morcelliana,...

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La terribile storia dimenticata dei francescani martirizzati dai musulmani

3/12/2024
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7723 LA TERRIBILE STORIA DIMENTICATA DEI FRANCESCANI MARTIRIZZATI DAI MUSULMANI di Rino Cammilleri Oggi voglio ricordare i sette francescani, e non solo loro, che nel 1920 vennero martirizzati dai musulmani. Nel 1920,dunque dopo la fine della Grande Guerra, dopo i trattati di pace, dopo che Kemal Ataturk aveva respinto i Greci e salvato la Turchia. Che, lo ricordiamo, era stata alleata degli sconfitti Imperi centrali. Il genocidio del popolo armeno - il primo, nella storia, a convertirsi al cristianesimo - era stato completato da un pezzo, i turchi, stretti tra i Bolscevichi di Lenin a nord e le potenze occidentali, soprattutto Inghilterra e Francia, che si spartirono il loro ex impero, dopo aver orribilmente incendiato Salonicco (la più ricca delle loro città, ma ricca grazie a greci e armeni), visto che Ataturk intendeva modernizzare il suo popolo vietando fez, veli e barbe per dare un sterzata laica alla vita turca (ben rendendosi conto che la causa dell'arretratezza stava proprio nella religione), avrebbero potuto smetterla con le scimitarre e l'uccisione inutile e insensata dei cristiani. Invece no. Ecco la storia che andiamo a raccontare. Alla fine del 1919 tre francescani, due italiani e un ungherese, vennero assegnati dalla Custodia della Terra Santa a Mugiukderest, in Armenia. Erano padre Francesco De Vittorio (38 anni), fratel Alfredo Dolentz (67), austriaco, e fratel Salvatore Sabatini (45). La missione era completamente distrutta e ora, a guerra finita, la Custodia intendeva ripristinarla in qualche modo. Provvisti di denaro, i tre riuscirono a farvi affluire le famiglie superstiti e a radunare la trentina di bambini rimasti orfani. Sotto la loro direzione si cominciò a riattare qualche casa e, soprattutto, a impiantare un orfanotrofio per quei bambini abbandonati che chissà come erano riusciti a scappare al genocidio. I tre frati erano tutto: medici, farmacisti, vivandieri, maestri, padri. Ma nel gennaio del 1920 ricominciò l'incubo: la notizia che i massacri di cristiani erano ripresi giunse fino alla missione e quei poveri disgraziati, la cui sfortuna non sembrava aver mai fine, presero a disperarsi. Dove altro sarebbero potuti andare? Ora che avevano riguadagnato un minimo di tranquillità, pur nella miseria, bisognava di nuovo scappare? UN INVITO A CENA Leggo in una vecchia news del Centro studi Giuseppe Federici che ai tre frati, in pensiero per i loro orfanelli, si presentò uno del posto, un musulmano di cui avevano fatto la conoscenza e che si era comportato sempre amabilmente con loro. Ne conosciamo il nome: Leuimen Oglu Alì. Aveva una grande casa e si offrì di ospitare i missionari e tutti gli orfanelli. Anzi, poiché c'era ancora posto, poteva accogliere anche tutti i pochi cristiani del luogo. E arrivò a mettere a disposizione alcuni locali per gli oggetti, le cose care che ognuno avesse ritenuto di portare con sé. Cominciò così il trasloco. In quella nuova casa sarebbero stati al sicuro, così aveva garantito loro l'anfitrione. Anche se si fosse scatenato il pogrom, lui li avrebbe protetti, perché nessuno avrebbe osato violare la casa di un notabile musulmano. Erano a cena, gentilmente offerta dal loro ospite, quando i tre frati sentirono colpi di fucile provenienti dalla strada. D'istinto si alzarono da tavola per sbirciare dalle finestre, ma a quel punto Leuimen Oglu Alì gettò la maschera. Estratta una pistola, mentre i tre gli davano le spalle li freddò con pochi colpi, poi andò ad aprire il portone di quelli fuori, con cui era d'accordo. Dei cristiani e orfanelli non ne rimase vivo neppure uno. Poi la banda di assassini andò a saccheggiare la chiesa, l'orfanotrofio e le case delle vittime, completando l'opera con un bel falò di tutto. Tutto questo accadde il 23 gennaio 1920. CHIESA BRUCIATA Padre Alberto Amarisse, 46 anni, era superiore alla missione di Jenige-Rale. Negli stessi giorni i turchi invasero l'Armenia e uccisero...

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Sant'Antonio abate e la benedizione degli animali

2/7/2024
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7690 SANT'ANTONIO ABATE E LA BENEDIZIONE DEGLI ANIMALI di Don Stefano Bimbi La vita di Sant'Antonio abate è descritta nella Vita Antonii di Sant'Atanasio, vescovo di Alessandria e dottore della Chiesa, che ebbe da lui un aiuto nella lotta contro l'arianesimo. Questa era l'eresia combattuta dal Concilio di Nicea per eliminare l'idea che Gesù fosse solo uomo e non vero Dio. Sant'Antonio è considerato il fondatore del monachesimo orientale, mentre quello occidentale si fa risalire a San Benedetto da Norcia. Risale al santo anche il nome dell'herpes zoster, popolarmente noto come fuoco di sant'Antonio, una malattia virale della cute e delle terminazioni nervose, causata dal virus della varicella infantile. VITA DI SANT'ANTONIO Sant'Antonio nacque a Coma un villaggio del Basso Egitto nel 251, figlio di benestanti contadini cristiani. Rimase orfano a vent'anni, con un patrimonio da amministrare e una sorella minore cui badare. Sentì presto la vocazione ascoltando il vangelo dove Gesù dice al giovane ricco «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi e dallo ai poveri» (Mt 19,21). Distribuiti i beni ai poveri e sistemata la sorella, iniziò a vivere come un anacoreta nel deserto attorno alla sua città, vivendo in preghiera, povertà e castità. In una visione vide un eremita che passava la giornata tra la preghiera e l'intreccio di una corda. Da questo capì che, oltre alla preghiera, si sarebbe dovuto dedicare ad un'attività concreta. Diventerà il principio dell'ora et labora che caratterizzerà anche in Occidente la vita monastica da San Benedetto in poi. Sant'Antonio condusse quindi una vita ritirata in perfetta solitudine. I frutti del lavoro gli servivano per sostentarsi, ma anche per fare la carità ai poveri. Nei primi anni di vita ritirata fu tormentato da tentazioni fortissime, inclusi dubbi sul senso della vita solitaria. Consultando altri eremiti fu esortato ad andare avanti. Anzi gli fu consigliato di staccarsi ancora più radicalmente dal mondo. Fu così che, indossando solo un rude panno, si chiuse in una tomba nella roccia. Qui fu aggredito e percosso dal demonio; senza sensi fu trovato dalle persone che si recavano spesso da lui per portargli del cibo. Fu portato nel villaggio, dove guarì. In seguito Sant'Antonio si spostò sul monte Pispir, vicino al Mar Rosso, dove si rinchiuse in una vecchia fortificazione. Vi rimase per 20 anni, nutrendosi solo con il pane che gli veniva portato due volte all'anno. Anche qui fu tormentato dal demonio. Alla fine molte persone, per stargli vicino e chiedergli consiglio e aiuto, abbatterono le mura del suo rifugio. Sant'Antonio allora si dedicò a guarire i sofferenti ed a liberare gli indemoniati. Durante la persecuzione dell'imperatore Massimino Daia rientrò ad Alessandria per confortare i cristiani che venivano ferocemente perseguitati. Tornata la pace, Sant'Antonio visse i suoi ultimi anni nel deserto. Morì all'età di 105 anni il 17 gennaio del 356. Ecco perché la sua festa si celebra il 17 gennaio di ogni anno. PROTETTORE DEGLI ANIMALI DOMESTICI Sant'Antonio è ricordato anche come protettore degli animali domestici e viene raffigurato con un maiale che reca al collo una campanella. Per la sua festa la Chiesa benedice gli animali e le stalle. Ci si potrebbe chiedere se sia il caso di benedire gli animali oppure se sia solo una moda derivante dalla diffusione degli animali come surrogati di un figlio, ma la risposta non può che essere affermativa. Infatti il primo a benedire gli animali è stato Dio stesso. Come ci ricorda la Genesi, dopo aver creato gli animali Dio li benedisse dicendo: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra» (Gn 1,22). Siate fecondi e moltiplicatevi vuol dire crescere di numero, cioè godere di buona salute per avere lo sviluppo voluto da Dio. Purtroppo con il peccato originale anche la natura animale partecipa della...

Duration:00:10:51

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Emilia Kaczorowska, la mamma di san Giovanni Paolo II

11/22/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7603 EMILIA KACZOROWSKA, LA MAMMA DI SAN GIOVANNI PAOLO II di Renzo Allegri La madre di Giovanni Paolo II, Emilia Kaczorowska, era figlia di un sellaio lituano, ma era nata in Slesia il 26 marzo 1884. Aveva otto fratelli. La famiglia si trasferì a Cracovia quando Emilia era ancora piccola e fu bersagliata da dolori e disgrazie. In pochi anni, Emilia perse quattro fratelli e anche i genitori. Per alcuni anni crebbe in un Collegio delle suore della Misericordia. Poté frequentare solo le scuole elementari. Poi dovette pensare a guadagnarsi da vivere facendo la sarta. Era gracile e cagionevole di salute, ma era molto bella. Maria Janina, una coetanea di Emilia, nel 1978, subito dopo l'elezione a Pontefice di Karol Wojtyla, ricordava: «Emilia Kaczorowska, da ragazza, era la più bella ed elegante di Wadovice. Abitavamo nella stessa casa. Era snella, aveva profondi occhi neri e un sorriso disarmante. Di carattere era gaia e sempre serena. Vestiva modestamente, ma era distinta, molto femminile. Si confezionava lei stessa i vestiti. Aveva capelli lunghi e si pettinava, come si usava allora, puntandoli tutti in alto». Il padre del Papa si chiamava Karol. Al figlio poi diede il proprio nome, come si usava spesso allora. Era nato nel 1879. Era figlio di un sarto e anche lui aveva imparato il mestiere del sarto, ma poi lo aveva abbandonato per un posto di ufficiale di carriera nell'esercito. «Era alto, con spalle molto dritte e aveva un incedere armonioso», raccontava Maria Janina, la vicina di casa. «Gli stivali lunghi e la divisa militare con le scintillanti tre stellette di sottufficiale sul colletto gli davano fascino ed eleganza. Era molto ammirato dalle ragazze. Anche Emilia si era nascostamente innamorata di lui, e fu felicissima quando Karol la scelse come fidanzata». I due giovani si erano conosciuti nella chiesa cattolica di Cracovia che entrambi frequentavano. Emilia se ne era innamorata subito. Secondo un rapporto dell'esercito austriaco, dove Karol prestava servizio, egli era «onesto, leale, serio, educato, modesto, retto, responsabile, generoso e instancabile». Era anche un affascinante parlatore. Tutte doti preziose, immediatamente apprezzate da Emilia. IL MATRIMONIO E I FIGLI Si sposarono il 10 febbraio 1904 e subito dopo si trasferirono a Wadowice, dove aveva sede un prestigioso reggimento di fanteria in cui Karol Wojtyla svolgeva compiti amministrativi. Nell'agosto del 1906, Emilia diede alla luce un maschietto, che fu chiamato Edmund. Ma già fin da quel primo parto risultò che Emilia aveva una salute gracile e che successive maternità potevano essere fatali per lei. I medici quindi le consigliarono di non avere altri figli. La vita dei coniugi Wojtyla a Wadowice trascorreva serena. Lo stipendio di Karol non era pingue ma sufficiente. Emilia lo amministrava con oculatezza. Lavorava anche lei come sarta contribuendo al bilancio familiare. Amava vestire bene il suo bambino e andava a comperargli qualche vestitino a Cracovia. Edmund era intelligente, studiava con profitto. Emilia decise che quel suo ragazzo doveva frequentare l'università e diventare importante. Era orgogliosa di lui. Nel 1914 però Emilia rimase di nuovo incinta. La gravidanza questa volta fu difficile, il parto complicato e nacque una bambina che visse poche ore. Emilia la volle chiamare Olga, come la propria sorella morta a soli 22 anni. Quella difficile maternità e la perdita della bambina segnarono molto Emilia. Fisicamente ma anche psicologicamente. Era diventata una donna molto sofferente. Andava soggetta a fortissimi mal di schiena che le impedivano perfino di reggersi in piedi. Inoltre veniva presa da improvvisi capogiri, svenimenti che le facevano perdere conoscenza. Quando arrivavano quelle crisi, doveva restare a letto anche per quattro cinque giorni di fila. Doveva essere trasportata a Cracovia, per essere assistita da medici specialisti. Le assenze duravano anche...

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Il ruolo fondamentale delle sante madri dei santi

11/14/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7600 IL RUOLO FONDAMENTALE DELLE SANTE MADRI PER LA SANTITA' DEI FIGLI di Antonio Tarallo Sul tema "mamma", la letteratura di ogni genere ed epoca è assai vasta: testi teatrali, poesie, racconti e romanzi. Per non parlare degli antichi adagi popolari che costituiscono una cultura millenaria. Più volte, nel nostro quotidiano, abbiamo sentito ripetere frasi come: "La mamma è sempre la mamma"; "di mamma ce n'è una sola" o ancora "chi dice mamma non s'inganna". E si potrebbe continuare ad libitum perché l'immaginario collettivo su questo tema così universale è davvero colmo di scene e sentimenti. Le madri sono, infatti, da sempre figure centrali per ognuno, per ogni vivente: si nasce da un grembo materno. E, prima di nascere, si è legati alla madre tramite il cordone ombelicale, unione vitale e spirituale con la propria mamma. E non è certo "un caso" se Dio stesso, per incarnarsi, ha pensato al grembo della Vergine Maria, la Mamma per eccellenza. Nella storia del cristianesimo, dunque, la figura della madre ha avuto un ruolo fondamentale fin dal principio. E lo sapevano bene quei santi che hanno avuto nelle madri testimoni importanti di fede. L'agiografia è colma di esempi di spose e madri che hanno trasmesso ai propri figli una fede salda, ben radicata in Dio, in Cristo, nella Madonna. Madri che per prime hanno trasmesso il messaggio del Vangelo ai figli, e questi, a loro volta, hanno così voluto intraprendere un cammino spirituale tutto particolare, speciale, fino a divenire santi. Così è accaduto a san Gregorio Magno, papa Gregorio I: la madre, santa Silvia (della quale oggi ricorre la memoria liturgica), secondo quanto lo stesso pontefice santo ha riferito nei suoi scritti, raggiunse il vertice della vita di preghiera e di penitenza, divenendo per lui una colonna della sua stessa fede. SANTA MONICA, MADRE DI SANT'AGOSTINO Altra figura centrale per la storia del cristianesimo è senza dubbio santa Monica, madre di sant'Agostino, dottore della Chiesa. Monica ha 22 anni quando nasce il primogenito Agostino, il futuro santo vescovo d'Ippona. Le vicende della sua biografia sono così strettamente legate a quelle del figlio che i due nomi si fondono, si confondono quasi, diventando un binomio inscindibile nella storia della Chiesa. Anche le loro memorie liturgiche si susseguono una dopo l'altra: Monica è celebrata il 27 agosto (sale al Cielo il 27 agosto 387); Agostino il 28 agosto (sale al Cielo il 28 agosto 430). Questa incredibile storia di madre e figlio è affascinante: quando Agostino si trasferisce per i suoi studi di retorica a Cartagine, si concede con sfrenata libertà ai piaceri della vita. La sua è una quotidianità fatta di piaceri smodati. Le sue Confessioni raccolgono diversi episodi riguardo a questo periodo. Monica, allora, cerca di riportarlo sulla retta via, ma niente da fare: Agostino, pur amando profondamente la madre, continua la sua vita smodata. Finiti gli studi, Agostino decide di spostarsi con la sua famiglia a Roma, capitale dell'impero. Monica, caparbia, decide di seguirlo, ma il figlio le sfugge. Ed è a questo punto della storia che avviene un fatto fondamentale: Monica trascorre una notte intera a pregare presso la tomba di san Cipriano. Sarà proprio la perseveranza della preghiera di santa Monica a convertire il figlio. Ma non sarà Roma la tappa decisiva della conversione, bensì Milano. Nella città lombarda, Agostino conosce sant'Ambrogio, vescovo di Milano. Monica comincia così a intravedere un po' di luce nella vita del figlio: è la Luce di Cristo che comincia a squarciare le tenebre del cuore del figlio dissoluto. Agostino verrà battezzato nel 387. Diventerà vescovo d'Ippona e sarà ricordato per la sua imponente e importante opera teologica. SANTA BRIGIDA E SANTA CATERINA DI SVEZIA Facciamo un salto nel Medioevo: in quest'epoca ci imbattiamo nella storia di santa Brigida e santa Caterina di Svezia, madre e figlia. Anno del Signore...

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San Michele è l'Arcangelo del purgatorio

10/10/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7561 SAN MICHELE E' L'ARCANGELO DEL PURGATORIO L'arcangelo san Michele è considerato dai cristiani il più potente difensore del popolo di Dio. Nell'iconografia, sia orientale che occidentale, san Michele viene rappresentato come un combattente, con la spada o lancia nella mano e sotto i suoi piedi il dragone-satana, sconfitto nella battaglia. I credenti da secoli si affidano alla sua protezione qui sulla terra, ma anche particolarmente nel momento del giudizio, come recita un'antica invocazione: "San Michele arcangelo, difendici nel combattimento, affinché non periamo nel terribile giorno del giudizio." L'Arcangelo viene riconosciuto anche come guida delle anime al Cielo. Questa funzione di san Michele è evidenziata nella Liturgia romana in particolare nella preghiera all'Offertorio della Messa dei defunti: "Signore Gesù Cristo, libera le anime dei fedeli defunti dalle pene dell'inferno! San Michele, che porta i tuoi santi segni, le conduca alla luce santa che promettesti ad Abramo e alla sua discendenza." Egli compie dunque l'onorevole ufficio di presentare a Gesù Cristo, nostro giudice, le anime che muoiono in grazia di Dio. La Santa Chiesa prega anche san Michele, a nome di tutti i fedeli, di difenderci al momento della morte contro i demoni; di farci trionfare dei loro assalti e di custodirci contro ogni pericolo di perdizione. Questo ufficio attribuito a san Michele di proteggere i moribondi è un privilegio secolare e riconosciuto da tutti. San Tommaso, san Bellarmino, Suarez e sant'Alfonso de' Liguori dichiarano che san Michele ha dato a Dio il compito di presiedere alla morte dei cristiani; che egli libera i suoi devoti dalle astuzie del demonio e dona loro la pace e la gloria eterna. Tale è dunque il pensiero della Chiesa. La Tradizione attribuisce a san Michele anche il compito della pesatura delle anime dopo la morte. Perciò in alcune rappresentazioni iconografiche, oltre alla spada, l'Arcangelo porta in mano una bilancia. Felice dunque colui che ogni giorno avrà pregato san Michele. Nella sua ultima ora, quando dovrà vincere il supremo combattimento che decide per l'eternità, il potente Arcangelo l'assisterà. Esso stesso dichiarò che Satana non avrebbe avuto nessun potere sopra i suoi servi e i suoi protetti. Il fatto che la Chiesa lo preghi per i defunti, indica, secondo l'osservazione del Bossuet, la sua fede circa il ruolo di san Michele nei riguardi delle anime del Purgatorio. Nelle loro sofferenze purificatrici, queste anime hanno bisogno di consolazione. San Michele vi si impegna in modo particolare, egli è l'Arcangelo del Purgatorio. Il Principe della milizia celeste, dice sant'Anselmo, è onnipotente in Purgatorio, egli può dare sollievo alle anime che la giustizia e la santità dell'Altissimo trattengono in quella dimensione dell'aldilà. E' incontestabilmente riconosciuto fin dalla fondazione del Cristianesimo, diceva il cardinale san Roberto Bellarmino, che le anime dei defunti sono liberate dal Purgatorio per l'intercessione ed il ministero dell'arcangelo san Michele. Aggiungiamo a questo autorevole teologo anche l'opinione di sant'Alfonso: "San Michele - egli dice - è incaricato di consolare le anime del Purgatorio. Egli non cessa di assisterle e di soccorrerle, procurando loro molti sollievi nelle loro pene". Se dunque noi amiamo i nostri defunti, a loro intenzione dobbiamo pregare san Michele.

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Madre Teresa

8/30/2023
VIDEO: cartone animato su Madre Teresa ➜ https://www.youtube.com/watch?v=HXUI5yBvSdo TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4361 MADRE TERESA SARA' PROCLAMATA SANTA IL 4 SETTEMBRE di Rodolfo Casadei Oggi il Meeting di Rimini chiude i battenti con un attesissimo incontro su Madre Teresa di Calcutta, che verrà proclamata santa il 4 settembre prossimo, e fra i relatori non poteva mancare Brian Kolodiejchuk, il postulatore della causa di beatificazione e di quella di canonizzazione della suora albanese. Kolodiejchuk, canadese di origine ucraina e sacerdote dei padri missionari della Carità, ha frequentato madre Teresa per vent'anni, dal 1977 fino alla morte nel 1997, e oggi è il direttore del Mother Teresa Center. Oltre alla mostra rimasta esposta per tutta la settimana al Meeting, ha curato molti libri di scritti della fondatrice delle Missionarie della Carità, fra i quali Sii la mia luce, il libro che rivela la "notte dell'anima" che Teresa visse fino alla fine dei suoi giorni e che più oggi risulta utile per capire la natura della santità che la Chiesa ha riconosciuto e intende sottolineare celebrando la canonizzazione nel corso del Giubileo della misericordia. Padre Brian, lei ha detto e scritto che madre Teresa sarà la patrona di chi ha maggiormente bisogno della misericordia di Dio. Cosa intende dire? In una lettera pubblicata nel libro Sii la mia luce madre Teresa scrive: «Se mai diventerò una santa, sarò una santa dell'"oscurità". Sarò sempre assente dal Paradiso per accendere la luce di coloro che sono nell'oscurità sulla Terra». Questa è la missione di misericordia che si prefigge di svolgere dal Paradiso. Allo stesso tempo l'opera delle sue suore è essenzialmente opera di misericordia. Nell'ultimo libro tradotto in italiano, Il miracolo delle piccole cose, i quattordici capitoli mettono a fuoco le sette opere di misericordia corporale che madre Teresa e le sue suore hanno compiuto, e si tratta della documentazione ufficiale della causa di canonizzazione. Che avviene provvidenzialmente nell'anno del Giubileo della misericordia, per proporre la Madre come un modello di misericordia. Qual è la cosa che più ha fatto soffrire madre Teresa in vita? Vedere continuamente la sofferenza dei poveri. Nei suoi ultimi anni di vita ripeteva spesso: «Chi si prenderà cura dei poveri?». E non si riferiva a quelli di cui le Missionarie della Carità si prendevano cura, ma ai poveri di tutto il mondo in generale. Le dava sollievo il fatto che, grazie anche alle sue iniziative, il mondo era diventato più cosciente della condizione dei poveri. Ha accettato di ricevere più di 200 premi, oltre al premio Nobel, nel corso della sua vita, in nome dei poveri e del fatto che attraverso di lei il mondo prendeva coscienza di loro. Cosa pensava madre Teresa delle critiche che le facevano persone come Christopher Hitchens, di chi la accusava di fare assistenzialismo senza affrontare le cause della miseria? Alcuni fatti che Hitchens ha riportato nel suo libro non erano precisi, come quando ha accusato madre Teresa di aver reso omaggio alla tomba del dittatore Enver Hoxha a Tirana: lei è stata portata lì come le autorità facevano con tutti i visitatori stranieri, la sua intenzione era quella di pregare sulla tomba dei suoi genitori in Albania. L'ha criticata per essersi limitata a creare una casa per i moribondi a Calcutta, quando avrebbe potuto finanziare una clinica di prim'ordine per loro. Ma quella casa era stata creata proprio per i moribondi, per persone abbandonate e senza speranza di guarigione, affinché potessero morire nella dignità. Tutti sanno la storia di quell'uomo che disse: «Ho vissuto tutta la vita come un animale, ma ora muoio come un angelo». Doveva essere un luogo dove si realizzava un incontro personale profondo fra chi accudiva il morente e il morente stesso. Ho invitato Hitchens a rendere la sua testimonianza durante il processo di beatificazione, e lui ha ammesso che la sua antipatia per madre...

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San Giovanni da Capestrano, patrono dei cappellani militari

8/22/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7502 SAN GIOVANNI DA CAPESTRANO, PATRONO DEI CAPPELLANI MILITARI di Don Mario Scudu Non si può certo dire che fu un uomo tutto casa e chiesa, o meglio, visto che era un frate, tutto convento e cappella. Ha avuto una vita movimentata, molto varia e ricca di esperienze. Ha girato prima l'Italia e poi l'Europa, ma non per turismo religioso o per convegni di aggiornamento con soggiorno in alberghi a varie stelle... ma per predicare. E non dimentichiamo che, nel Quattrocento, lo stesso "viaggiare" era sinonimo di fatica, dormire poco, soffrire la fame e la sete con pericoli vari e imprevedibili: ogni giorno una buona dose di disagio di vario genere con avventure non sempre a lieto fine. Nel 1453 era caduta la città di Costantinopoli, la capitale dell'Impero Romano d'Oriente. L'impressione fu enorme. Il senso della minaccia sulla cristianità europea era tangibile e incombente. La paura e l'angoscia erano tornate prepotenti e si facevano sentire con forza su larghi strati della popolazione. Anche se non su tutti. Davanti ad ogni avvenimento doloroso c'è sempre un certo numero di apatici, che sono poi quelli dagli ideali ristretti e dagli orizzonti che coincidono esattamente con il proprio benessere e tornaconto. Fu così anche allora. Il nuovo pericolo che minacciava l'Europa era costituito dall'avanzata sanguinaria e apparentemente inarrestabile dell'Islam e dei Turchi. Furono i papi Niccolò V e poi il successore Callisto III che organizzarono una crociata in difesa della fede cristiana e dell'Occidente intero minacciati dal pericolo ottomano-islamico. Ma sul campo è stato Giovanni da Capestrano, un umile frate, a raccogliere la sfida e darsi da fare, con la predicazione, per reclutare uomini. Purtroppo solo gli Ungheresi, i più direttamente minacciati, risposero al suo appello. Con un esercito di quasi 5.000 uomini si mise in cammino verso Belgrado, fortezza che era stata chiusa in una tenaglia dalle truppe di Maometto II e dalla flotta turca. Fu dapprima un comandante ungherese, lo Hunyadi, dietro suo impulso a rompere l'assedio navale con un attacco che riportò pieno successo il 14 luglio 1456. Una settimana dopo arrivò anche la vittoria terrestre. E questa ebbe come protagonista assoluto Giovanni da Capestrano che guidò l'attacco. Un frate trasformatosi in generale vittorioso. Fu questa azione a difesa dell'Occidente che gli meritò in seguito l'appellativo di "Apostolo dell'Europa Unita". Ma gli costò anche la vita. Contrasse infatti la peste e ne morì tre mesi dopo nel convento di Ilok, in Croazia. Era il 1456. Anno della Battaglia di Belgrado dell'Europa contro i Turchi, come viene indicato nei libri di storia. GIOVANNI: INQUISITORE E PREDICATORE IN ITALIA Giovanni nacque il 24 giugno 1386 a Capestrano non lontano da L'Aquila, nell'Abruzzo. I suoi genitori erano di nobili origini. La prima istruzione l'ebbe in famiglia da uno speciale pedagogo. E ancora adolescente conobbe il dolore: subì infatti, per rappresaglia, l'uccisione di ben dodici persone del parentado e la distruzione della stessa casa. Giovanni studiò diritto canonico e diritto civile a Perugia. Diventò anche giudice di questa città facendosi notare e ricordare per la sua integrità morale e imparzialità. Stava per far rientro in paese per guadagnare un po' di denaro e così autofinanziarsi gli studi per la promozione al dottorato, quando, nel 1415 in seguito ad un conflitto tra Perugia e Rimini, cadde prigioniero. Come sarà alcuni secoli dopo per Sant'Ignazio di Loyola che si convertì durante la prigionia, così fu per Giovanni da Capestrano (cf box a pag. 18). Alcuni anni dopo entrò tra i francescani osservanti, divenendo sacerdote nel 1417. La sua vita si può dividere in due grandi periodi. Il primo comprende la sua attività in Italia fino al 1451; il secondo la sua predicazione nell'Europa centrale e la partecipazione alla battaglia di Belgrado, e la morte (1456). Nel primo periodo furono...

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Francesco di Sales, il santo che ci insegna ad essere santi

8/15/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7478 FRANCESCO DI SALES, IL SANTO CHE INSEGNA AD ESSERE SANTI Autore del libro di successo Filotea, scritto per i fedeli laici e tutt'oggi validissimo per progredire nella vita spirituale di Liana Marabini Lo Château de Sales, in Savoia, predomina la vallata sottostante con i suoi muri merlettati predisposti per le guardie: è un castello fortificato, di proprietà della famiglia de Sales. Il patriarca François osserva da una delle finestre del primo piano il giardino sottostante: un ragazzino elegantemente vestito sta duellando con un adulto. Il ragazzo è suo figlio, si chiama François, come lui (lo hanno battezzato così in onore di san Francesco d'Assisi); l'altro duellante è il suo maestro di armi. Il patriarca è combattuto fra la gioia di vedere la bravura del figlio nel maneggiare le armi e la tristezza per la notizia che il giovane desidera ardentemente diventare prete. Ma lui ha ben altri progetti per il figlio. Lo manderà a Parigi, a studiare il diritto, così diventerà un ottimo magistrato. Il giovane Francesco (1567-1622) si piega alla decisione del padre e prosegue gli studi presso il collegio parigino di Clermont, tenuto dai gesuiti. Studia retorica, latino, greco, ebraico, filosofia e teologia, conoscenze che gli permettono di "imparare gli esercizi della nobiltà". Impara bene anche il francese, che comincia ad utilizzare in sostituzione del dialetto natale. Ma ciò che lo attira di più è lo studio della teologia. Francesco mostrava un forte interesse per la teologia dei santi Agostino di Ippona e Tommaso d'Aquino, concentrandosi in particolare sulla grazia e la predestinazione, che era molto discussa allora a causa del protestantesimo. Qualche tempo prima della nascita del Sales, Calvino aveva teorizzato una sua teologia della predestinazione, in modo molto diverso dalla dottrina cattolica. Questo approccio suscitò grande ansia in Francesco, che per alcune settimane - tra il dicembre 1586 e il gennaio 1587 - si immaginò di essere predestinato all'Inferno. Sconvolto, pregava davanti a una statua della Vergine Maria in una chiesa domenicana, la chiesa di Saint-Étienne-des-Grès. Con l'aiuto della preghiera arrivò alla liberazione dalle sue paure. Fece anche voto di castità, accrescendo preghiere e penitenze. STRAORDINARIE QUALITÀ SACERDOTALI Nel 1588, decise di continuare gli studi in Italia, arrivando in una delle più notevoli università europee del tempo: Padova. Cercando consiglio e aiuto, si pose sotto la direzione spirituale del gesuita Antonio Possevino, che gli fece fare gli esercizi spirituali. Come confidò una volta a un amico: "Ho studiato diritto per piacere a mio padre e teologia per piacere a me stesso". A 25 anni, viaggiò tra Loreto, Roma, Venezia e poi tornò in Savoia. Qui il padre gli offrì la signoria di Villaroger e gli presentò una fidanzata. Ma Francesco ribadì il suo desiderio di diventare prete. Qualche tempo dopo, il vescovo Claude de Granier gli offrì l'incarico di prevosto del capitolo di Ginevra. Così, Francesco indossò la tonaca il 10 maggio 1593 e il giorno successivo divenne canonico di Annecy; il 13 maggio rinunciò alla primogenitura e al titolo di signore di Villaroger. Si ritirò quindi nel castello di Sales fino al 7 giugno 1593, lottando contro i suoi dubbi e le sue tentazioni. Ricevette il diaconato l'11 giugno 1593; il 18 dicembre dello stesso anno fu ordinato sacerdote e quindi divenne prevosto di Ginevra. Le sue straordinarie qualità sacerdotali (calma, dolcezza nelle parole e nell'approccio ai fedeli, un'eloquenza rara) fecero di lui un ottimo strumento per la conversione delle anime. L'8 dicembre 1602 Francesco di Sales fu consacrato, a Thorens, vescovo di Ginevra. Servì la sede episcopale in esilio ad Annecy, poiché Ginevra era divenuta una roccaforte protestante. Come nuovo vescovo, decise di istituire il catechismo per diffondere, far conoscere e far comprendere la fede cattolica ai credenti della sua...

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L'attualità del santo Curato d'Ars

8/2/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=160 L'ATTUALITA' DEL SANTO CURATO D'ARS di Benedetto XVI Cari fratelli e sorelle, nell'odierna catechesi vorrei ripercorrere brevemente l'esistenza del Santo Curato d'Ars sottolineandone alcuni tratti, che possono essere di esempio anche per i sacerdoti di questa nostra epoca, certamente diversa da quella in cui egli visse, ma segnata, per molti versi, dalle stesse sfide fondamentali umane e spirituali. Proprio ieri si sono compiuti 150 anni dalla sua nascita al Cielo: erano infatti le due del mattino del 4 agosto 1859, quando san Giovanni Battista Maria Vianney, terminato il corso della sua esistenza terrena, andò incontro al Padre celeste per ricevere in eredità il regno preparato fin dalla creazione del mondo per coloro che fedelmente seguono i suoi insegnamenti (cfr Mt 25, 34). Quale grande festa deve esserci stata in Paradiso all'ingresso di un così zelante pastore! Quale accoglienza deve avergli riservata la moltitudine dei figli riconciliati con il Padre, per mezzo dalla sua opera di parroco e confessore! Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire l'Anno Sacerdotale, che, com'è noto, ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva, l'efficacia stessa della missione di ogni sacerdote. Giovanni Maria Vianney nacque nel piccolo borgo di Dardilly l'8 maggio del 1786, da una famiglia contadina, povera di beni materiali, ma ricca di umanità e di fede. Battezzato, com'era buon uso all'e-poca, lo stesso giorno della nascita, consacrò gli anni della fanciullezza e dell'adolescenza ai lavori nei campi e al pascolo degli animali, tanto che, all'età di diciassette anni, era ancora analfabeta. Conosceva però a memoria le preghiere insegnategli dalla pia madre e si nutriva del senso religioso che si respirava in casa. I biografi narrano che, fin dalla prima giovinezza, egli cercò di conformarsi alla divina volontà anche nelle mansioni più umili. Nutriva in animo il desiderio di divenire sacerdote, ma non gli fu facile assecondarlo. Giunse infatti all'ordinazione presbiterale dopo non poche traversie ed incomprensioni, grazie all'aiuto di sapienti sacerdoti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre, intuendo l'orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare. Così, il 23 giugno 1815, fu ordinato diacono e, il 13 agosto seguente, sacerdote. Finalmente all'età di 29 anni, dopo molte incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l'altare del Signore e realizzare il sogno della sua vita. Il Santo Curato d'Ars manifestò sempre un'altissima considerazione del dono ricevuto. Affermava: «Oh! Che cosa grande è il sacerdozio! Non lo si capirà bene che in Cielo… se lo si comprendesse sulla terra, si morirebbe, non di spavento ma di amore!» (Abbé Monnin, Esprit du Curé d'Ars, p. 113). Inoltre, da fanciullo aveva confidato alla madre: «Se fossi prete, vorrei conquistare molte anime» (Abbé Monnin, Procès de l'ordinaire, p. 1064). E così fu. Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo, questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente riconoscibile, alter Christus, immagine del Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le proprie pecore (cfr Gv 10,11). Sull'esempio del Buon Pastore, egli ha dato la vita nei decenni del suo servizio sacerdotale. La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un'efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale. Centro di tutta la sua vita era dunque l'Eucaristia, che celebrava ed adorava con devozione e rispetto. Altra caratteristica fondamentale di questa...

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Gli interrogatori a Bernadette, la forza di un'anima pura

8/1/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7479 GLI INTERROGATORI A BERNADETTE, LA FORZA DI UN'ANIMA PURA di Antonio Tarallo Quando si pensa a Lourdes le immagini si affollano nella mente, soprattutto nel cuore: la grotta di Massabielle, la statua dell'Immacolata Concezione, l'acqua miracolosa, i flambeaux, le migliaia di candele accese che illuminano il luogo sacro, il verde incontaminato dei Pirenei, il fiume Gave e tante, tante altre immagini. Si potrebbe continuare ad libitum. Ma fra queste, più di tutte, ve n'è una: è il volto di una giovane con grandi occhi neri, scuri e profondi; ha un viso tondeggiante e i suoi capelli sono raccolti da uno scialle che reca sulla testa. È il volto di santa Bernadette Soubirous. È questa adolescente di appena 14 anni ad essere, assieme alla Vergine Maria, protagonista di quei fatti che sconvolsero, a partire dall'11 febbraio di 165 anni fa, la piccola cittadina francese di Lourdes: un luogo come tanti, destinato a rimanere anonimo, se Maria non l'avesse scelto per palesarsi con il titolo di Immacolata Concezione. UNA RAGAZZINA POVERA E IGNORANTE Dio sceglie i piccoli per parlare, gli umili di cuore. «In quel tempo Gesù disse: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli"» (Matteo 11,25). E così è avvenuto per santa Bernadette, che non sapeva leggere né scrivere. Bernadette doveva aiutare la sua povera famiglia perciò non c'era tempo per lo studio. Andava solo saltuariamente a scuola, nella classe delle bambine povere dell'ospizio di Lourdes, tenuta dalle Suore della Carità di Nevers. Bernadette e la sua famiglia è un capitolo che merita un particolare approfondimento in quanto riesce a fornirci alcune importanti informazioni sulla fede della giovane santa. I suoi genitori - François Soubirous (1807-1871) e Louise Castérot (1825-1866) - erano poveri e indigenti rimasero sempre: è grazie a loro se la piccola Bernadette crebbe in una fede cattolica semplice e pura, al contempo forte, determinata e coraggiosa. Il padre, alla nascita di Bernadette, faceva il mugnaio presso il mulino di Boly, ma gli affari erano tutt'altro che proficui perché François era uomo buono e generoso, sempre più pronto a donare che a ricevere. Ogni giorno un problema assaliva la famiglia Soubirous, ma in questa loro via Crucis è necessario sottolineare un elemento importante: la loro fede nel Signore era incrollabile, riusciva a superare ogni difficoltà. È questo l'humus in cui crebbe Bernadette. E proprio questa fede incrollabile l'aiuterà durante gli interrogatori a cui sarà sottoposta dalle autorità di Lourdes. Dopo quel famoso 11 febbraio, alla grotta di Massabielle cominciarono ad accorrere i primi "pellegrini": da ciò, gli asseriti problemi di ordine pubblico. I primi interrogatori che dovette affrontare Bernadette furono condotti dal commissario di polizia Jacomet e dal procuratore imperiale Dutour. È interessante leggere il memoriale che il procuratore stenderà del suo incontro con la giovane: «Bernadette non fu né portata, né condotta: si recò volontariamente, dietro semplice invito verbale. Quando apparve, nulla del suo aspetto esprimeva ch'ella dovesse vincere qualche ripugnanza; nessun timore da superare. La sua fisionomia era serena, fiduciosa, senza timidezza, se pur senza audacia. Ciò che le fu detto non parve causarle alcun turbamento; ciò che disse, lo disse con semplicità, nel suo dialetto, senza imbarazzo e senza che fosse necessario costringerla» (cit. in Bernadette Soubirous di François Trochu, Marietti, Torino, 1957). Quest'ultima frase - «senza che fosse necessario costringerla» - ci dice tutto: ci fa comprendere l'animo di questa giovane di fronte alle autorità. Bernadette non ha paura perché sa bene che il Signore e la Vergine Maria sono con lei. A una sua compagna di scuola, dopo gli interrogatori, Bernadette dirà: «Non ero più me stessa e non avevo...

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Storia del vescovo autore di Tu scendi dalle stelle

7/26/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4502 STORIA DEL VESCOVO AUTORE DI TU SCENDI DALLE STELLE di Francesco Agnoli "Tu scendi dalle stelle o re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo": inizia così la più celebre canzone popolare di Natale, e può venir voglia di conoscere chi sia l'autore e quale sia stata la sua vita. Alfonso Maria de Liguori, questo il nome di colui che la ideò, nasce a Napoli nel 1696, da famiglia nobile e ricca. Dati i natali, la sua vita sembrerebbe già scritta: lo aspettano onori, ricchezze, potere. Suo padre nutre grandi ambizioni per il figlio, e lui ha doti non ordinarie. Studia musica, ama dipingere, si iscrive, a 12 anni, presso l'Università di Napoli, per divenire avvocato. BRILLANTE AVVOCATO E BUON SAMARITANO L'età minima, per accedere al titolo, sono i 20 anni: Alfonso viene rivestito di una toga più grande di lui, già a 16. Se l'aspirante è eccezionale, si può fare eccezione. Divenuto avvocato, Alfonso si impone una moralità ferrea, in un mestiere difficile. Nello stesso tempo frequenta varie confraternite, che lo portano per esempio a visitare i malati, i sifilitici, i derelitti del grande ospedale di Napoli, gli Incurabili. L'ingresso "nella confraternita della Visitazione portava per la prima volta il nostro brillante samaritano ad avvicinare, a incontrare, a toccare con le sue mani, ogni settimana, per anni, l'uomo a terra, spogliato, ferito, gemente nel fossato, ai bordi del suo cammino di ricco. Per otto anni si piegherà su di lui con orrore, con amore, con fede nella parola di Gesù: 'Quello che fate al più piccolo dei miei lo fate a me'" (T.R.Mermet). Alfonso fa parte anche della Confraternita di santa Maria della Misericordia, i cui membri sono dediti al seppellimento degli indigenti, ai preti pellegrini o stranieri, e a quelli detenuti per indegnità nelle carceri dell'Arcivescovado. Alfonso per dieci anni, dal 1714 al 1726, gira per Napoli, una volta la settimana, questuando per tutti questi. E' nel 1723, quando la carriera sembra inarrestabile, che proprio mentre si piega su un malato degli Incurabili, egli sente come una voce che lo chiama: "Lascia il mondo e datti a me". Nonostante la disperazione del padre, Alfonso segue l'ispirazione e si avvia agli studi per il sacerdozio, che sarà speso negli studi, negli scritti di morale (tra cui la Theologia moralis, La pratica del Confessore e Apparecchio alla morte), nelle missioni al popolo, nel confessionale, nelle celle dei prigionieri, tra i lazzaroni, le prostitute, i poco di buono e i peccatori di ogni genere... CELESTE PATRONO DEI MORALISTI E DEI CONFESSORI Qui, tra questa umanità dolorante, l'uomo di dottrina e di carità, acquista quella saggezza, nel trattare non solo con i malati nel corpo, ma anche con quelli nello spirito, che gli varrà il titolo, concesso da Pio XII nel 1950, di "celeste patrono dei moralisti e dei confessori". Saggezza che consiste in quel santo equilibrio con cui il santo sa affrontare il peccato: condannandolo, certamente, ma piegandosi anche con benignità ed amore sui peccatori. Alfonso è un avversario del rigorismo che trasforma la vita morale in terrorismo spirituale: confessa, esige e perdona, impone penitenze che non siano eccessive e da buon ammiratore di san Filippo Neri, di san Vincenzo de Paoli e di san Francesco di Sales (quello che invitava a conquistare le anime con il miele piuttosto che con il fiele), impara ad evangelizzare gli uomini con la semplicità (voleva farsi intendere anche dalle "menti di legno"), le devozioni popolari, la meditazione. Tenendosi lontano dallo zelo amaro e dall'algida moralità giansenista. Alfonso invita i confratelli predicatori a non dimenticare di inculcare il "timor di Dio", ma evitando gli eccessi, le "maledizioni", perché le conversioni vere nascono solo quando "entra nel cuore il santo amore di Dio". Napoli è la città giusta per lui: così piena di contraddizioni, di cultura e di miseria, di fede e di...

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Dichiarata venerabile suor Lucia di Fatima

7/11/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7461 DICHIARATA VENERABILE SUOR LUCIA DI FATIMA Riconosciute le virtù eroiche della veggente che visse la sua chiamata alla santità fin da prima delle apparizioni della Madonna nella Cova da Iria di Ermes Dovico Ieri, 22 giugno, dopo aver ricevuto il benestare di papa Francesco, il Dicastero delle Cause dei Santi ha promulgato, tra gli altri, il decreto che riconosce le virtù eroiche di suor Maria Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato. Questo il nome completo, da carmelitana scalza, di colei che è più semplicemente conosciuta come suor Lucia di Fatima (28 marzo 1907 - 13 febbraio 2005), che da ieri gode quindi del titolo di «venerabile», il gradino che precede l'eventuale beatificazione. Si può leggere come una carezza della Provvidenza il fatto che questo decreto giunga nel mese del Sacro Cuore di Gesù e a pochi giorni dalla collegata memoria liturgica del Cuore Immacolato di Maria. Una devozione, quest'ultima, che Dio ha voluto diffondere particolarmente proprio attraverso la missione affidata a Lucia, come la Madonna stessa rivelò per la prima volta alla più grande dei tre pastorelli di Fatima, quando di anni ne aveva appena dieci, il 13 giugno 1917. Allora la Santa Vergine le disse che lei, a differenza di Francesco e Giacinta che sarebbero presto andati in Cielo, sarebbe rimasta in terra «ancora per un po' di tempo. Gesù vuole servirsi di te per farMi conoscere e amare. Egli vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato. A chi l'abbraccerà, prometto la salvezza, e saranno amate da Dio queste anime, come fiori messi da Me a ornare il Suo trono» (cfr. Memorie di suor Lucia, Appendice I, Testo della Grande Promessa del Cuore di Maria, scritto nel 1927). SIGNORE FAMMI SANTA Oggi sappiamo che quell'«ancora per un po' di tempo» ha significato, per suor Lucia, tornare alla casa del Padre alla soglia del 98° compleanno. Tant'è che la veggente, già nella sua maturità, ebbe a dire che la Madre celeste l'aveva sempre accontentata in tutto, tranne che nel suo desiderio di raggiungerla presto in Paradiso. Un fatto che ci dice quale nostalgia della patria eterna vivono coloro che sperimentano, già quaggiù, le realtà celesti e che ci esorta a riscoprire il senso soprannaturale della nostra vita in terra, dove siamo chiamati a scegliere Dio, anziché il peccato che ci allontana da Lui. Verità di cui il mondo odierno appare dimentico. Il decreto che riconosce le virtù eroiche di suor Lucia sottolinea il profondo influsso che le apparizioni ebbero sulla vita della nuova venerabile e da cui le derivarono, insieme a grandi gioie e straordinarie grazie celesti, anche «molte delle sue sofferenze». Basti ricordare qui il dolore che provò, fin dall'inizio della mariofania, per non essere creduta dalla propria famiglia, in particolare dalla madre. E non fu l'unico. Eppure suor Lucia, come scrive il Dicastero delle Cause dei Santi, «visse eroicamente la virtù della fede sia nella modalità con cui affrontò il procedimento ecclesiastico e civile relativo alle apparizioni, sia cercando di compiere in tutto la volontà di Dio e di aiutare gli altri a crescere nella fiducia in Lui. La sua lunga vita fu segnata dall'eroica speranza e dal profondo desiderio di "andare in Cielo". Volle offrire la sua vita per amore verso Dio, riparando le offese contro di Lui e crescendo nella pietà eucaristica. Ebbe anche una grande sollecitudine per l'Ordine Carmelitano, i familiari, i malati e i poveri che sosteneva con la preghiera e la penitenza, ma anche attraverso la pratica della carità». Se è chiaro che le apparizioni hanno rappresentato uno spartiacque nella vita di Lucia, è altrettanto chiara una verità poco sottolineata e cioè che in lei, grazie alla fede ricevuta in famiglia, si palesavano i semi di un'eccezionale vocazione alla santità già prima del ciclo angelico del 1915-16 e di quello mariano del 1917. Esemplare, in tal senso, quanto la stessa venerabile racconta...

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Santa Maria Goretti fu definita da Pio XII "la piccola e dolce martire della purezza"

7/5/2023
VIDEO: Descrizione in minuscolo ➜ https://www.youtube.com/watch?v=ADZQvN3Bitk TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5253 SANTA MARIA GORETTI FU DEFINITA DA PAPA PIO XII ''LA PICCOLA E DOLCE MARTIRE DELLA PUREZZA'' di Giovanni Alberti È come un'antologia di virtù, ricca di insegnamenti oggi dimenticati dal mondo e perfino derisi, la vita eroica di santa Maria Goretti (1890-1902), «la piccola e dolce martire della purezza», come la chiamò Pio XII nel canonizzarla, che preferì la morte terrena anziché peccare con colui che divenne il suo carnefice. Seconda dei sei figli di Assunta Carlini e Luigi, due umili braccianti, era nata il 16 ottobre nel piccolo comune marchigiano di Corinaldo, ricevendo il Battesimo a 24 ore dalla nascita. I suoi genitori avevano una grande fede e, come dirà la madre, si curarono di dare ai figli un'educazione «perché crescessero buoni cristiani». Marietta, com'era chiamata, ricevette la Cresima a meno di sei anni e nell'ottobre 1897 si trasferì con la famiglia a Paliano, nel Lazio, dove i genitori, accettando la proposta del proprietario terriero e senatore Giacinto Scelsi, lavorarono come mezzadri al fianco di Giovanni Serenelli e del giovane figlio Alessandro, orfano della madre. Nel 1899 lei e i familiari furono costretti a trasferirsi di nuovo e, insieme ai Serenelli, si accasarono nella cascina di un conte alle Ferriere di Conca, nel mezzo delle paludi pontine, ancora non bonificate. Da quelle parti la malaria era micidiale e appena un anno dopo si portò via il padre della santa, segnando un vero dramma familiare per i Goretti. Mamma Assunta, rimasta sola ad allevare i sei figli, dovette sostituire il marito nel lavoro dei campi, mentre Marietta si dedicò alle faccende di casa. Fu proprio lei, pur affranta dal dolore, a fortificare la madre con la sua fiducia nella Provvidenza: «Mamma, non ti preoccupare, Dio non ci abbandonerà». Dio lo cercava e lo trovava nel quotidiano. Si alzava di buon mattino prima degli altri, diceva le orazioni, sistemava il pollaio, preparava la colazione, svegliava i fratellini, li aiutava a prepararsi per la giornata e li faceva pregare. Nutriva un amore filiale per la Madonna e alla sera, dopo una giornata di fatiche, si inginocchiava insieme ai fratellini per recitare il Rosario, «che le era indispensabile come l'aria che respirava», come testimonierà la mamma, alla quale i vicini dicevano spesso: «Che angelo di figlia avete!». Marietta non sapeva leggere ma aveva un grande desiderio di imparare «la dottrina» per poter fare in anticipo la Prima Comunione, che allora si riceveva abitualmente solo dopo il 12° anno di età. Moltiplicò i sacrifici per andare al catechismo, che poi insegnava con entusiasmo in famiglia, e il 16 giugno 1901 ricevette per la prima volta Gesù Eucaristico. Fu allora che maturò il proposito di morire piuttosto che commettere peccati, un fatto comune ad altri giovanissimi santi, come per esempio Domenico Savio. La Messa domenicale era per lei la gioia più grande e nulla le impediva di partecipare, né gli undici chilometri di distanza, percorsi a piedi, né le intemperie. DIO NON VUOLE, SE FAI QUESTO VAI ALL'INFERNO! Approfittando della mancanza del padre, i Serenelli rivelarono il loro lato peggiore. L'anziano Giovanni insidiò, invano, Assunta («osò farmi delle proposte infami») e lasciò spesso affamati i Goretti. Il figlio Alessandro tentò più volte Marietta, che respinse sempre i suoi approcci, desiderando rimanere casta. Il 5 luglio 1902 Alessandro, allora ventenne, trascinò con forza la piccola dentro la cucina, ma si sentì dire: «No, no, Dio non vuole, se fai questo vai all'inferno!». Accecato dall'ira, la colpì ripetutamente con un punteruolo, infliggendole 14 ferite. Durante i disperati tentativi di cura all'ospedale Marietta invocò di continuo la Vergine e rimase lucida e serena, nonostante i dolori atroci. Il 6 luglio le fu messa al collo una medaglia, che sanciva la sua iscrizione alle Figlie di Maria,...

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Le lettere di Santa Gianna Beretta Molla

7/4/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7470 LE LETTERE DI SANTA GIANNA BERETTA MOLLA Gianna Beretta Molla nacque a Magenta (Milano), nella casa di campagna dei nonni paterni, da genitori profondamente cristiani, entrambi Terziari francescani, il 4 ottobre 1922, festa di San Francesco d'Assisi, e l'11 ottobre, nella Basilica di San Martino, ricevette il S. Battesimo con il nome di Giovanna Francesca. Era la decima di tredici figli, cinque dei quali morirono in tenera età e tre si consacrarono a Dio: Enrico, medico missionario cappuccino a Grajaù, in Brasile, col nome di padre Alberto; Giuseppe, sacerdote ingegnere nella diocesi di Bergamo; Virginia, medico religiosa canossiana missionaria in India. La famiglia Beretta visse sino al 1925 a Milano, in Piazza Risorgimento n.10; durante i 18 anni della sua residenza milanese, frequentò assiduamente la Chiesa dei Padri Cappuccini in Corso Monforte. Nel 1925, dopo che l'influenza spagnola si era portata via tre dei cinque figli che morirono in tenera età, e a seguito di un principio di tubercolosi della sorella maggiore Amalia, di sedici anni, la famiglia si trasferì a Bergamo in Borgo Canale n.1, dove l'aria di collina era più salubre. Il papà di Gianna, Alberto, nato come lei a Magenta, era impiegato al Cotonificio Cantoni, e fece enormi sacrifici perché tutti i figli potessero studiare sino alla laurea, riducendo tutte quelle spese che riteneva essere spese inutili, come quando, di punto in bianco, smise di fumare il suo sigaro. Uomo dalla fede profonda, dalla pietà sincera, convinta e gioiosa, fu loro di grande esempio cristiano: ogni giorno si alzava alle 5 per recarsi alla S. Messa ed iniziare così, davanti al Signore e nel Suo nome, la sua giornata di lavoro. Anche la mamma, Maria De Micheli, nata a Milano, era donna dalla fede profonda, dall'ardente spirito di carità, dal carattere umile e al tempo stesso forte, fermo e deciso. Si recava anch'ella ogni giorno alla S. Messa, insieme ai suoi figlioli, dopo che il marito era partito per raggiungere con il treno, a Milano, il suo posto di lavoro. Mamma Maria si occupò di ciascun figlio come se ne avesse avuto uno solo; correggeva i suoi figlioli aiutandoli a capire i loro sbagli e talvolta bastava il solo sguardo. Fu loro sempre vicina: imparò persino il latino e il greco per seguirli meglio negli studi. LA GIOVINEZZA Gianna, sin dalla prima giovinezza, accolse con piena adesione il dono della fede e l'educazione limpidamente cristiana che ricevette dai suoi ottimi genitori, che con vigile sapienza la accompagnarono nella crescita umana e cristiana e la portarono a considerare la vita come un dono meraviglioso di Dio, ad avere una fiducia illimitata nella Divina Provvidenza, ad essere certa della necessità e dell'efficacia della preghiera. Fu da loro educata all'essenziale, alla sensibilità verso i poveri e le missioni, secondo lo stile francescano. Immersa in questa atmosfera familiare di grande fede e amore per il Signore, Gianna ricevette la sua Prima Comunione a soli cinque anni e mezzo, il 4 aprile 1928, nella Parrocchia Prepositurale di Santa Grata a Bergamo Alta. Da quel giorno andò con la mamma tutte le mattine alla Messa: la S. Comunione divenne "il suo cibo indispensabile di ogni giorno", sostegno e luce della sua fanciullezza, adolescenza e giovinezza. Il 9 giugno 1930 ricevette la S. Cresima nel Duomo di Bergamo. Crebbe serena, prodigandosi per i fratelli e le sorelle, senza mai stare in ozio: amava tutte le cose belle, la musica, la pittura, le gite in montagna. In quegli anni non le mancarono prove, sofferenze e difficoltà, che però non produssero traumi o squilibri in Gianna, data la ricchezza e la profondità della sua vita spirituale, ma anzi ne affinarono la sensibilità e ne potenziarono la virtù. Nel gennaio 1937 morì la sua carissima sorella Amalia, all'età di 26 anni, e la famiglia si trasferì a Genova Quinto al Mare, città che era anche sede universitaria e favoriva,...

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Antonietta Meo, testimone di Gesù Crocifisso a 6 anni

6/28/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1471 ANTONIETTA MEO, TESTIMONE DI GESU' CROCIFISSO A 6 ANNI di Piersandro Vanzan S. I. Nennolina nasce in una famiglia di solidi principi morali e religiosi, dove si recita il Rosario ogni giorno. E' una bambina molto vispa, sempre allegra, che ama cantare. Un giorno cade sbattendo il ginocchio su un sasso. Ma il dolore sembra non voler passare. I medici, che inizialmente non capiscono la natura del suo male, alla fine le diagnosticano un "osteosarcoma", un tumore alle ossa. Le viene quindi amputata la gamba. Nennolina, che ha poco più di cinque anni, mette allora una pesante protesi ortopedica; comincia la salita al calvario, ma la vivacità è quella di sempre... Il 17 dicembre 2007 il Santo Padre, Benedetto XVI, ha autorizzato la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto sulle virtù eroiche di Antonietta Meo, così la piccola è stata dichiarata "Venerabile". Potrebbe presto diventare la più giovane beata non martire nella storia della Chiesa, è infatti già allo studio una presunta guarigione miracolosa, segnalata negli Stati Uniti. Il suo corpo, dal 5 luglio del 1999, riposa in una piccola cappella adiacente a quella dove si conservano le reliquie della Passione di Gesù, all'interno della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Quella di Nennolina è una storia dolorosa, un'apparente storia ordinaria di quel vasto mondo dell'infanzia sofferente, ma è anche una storia rischiarata da una luce straordinaria, che illumina chi vi si accosta, introducendo al senso di quel grande mistero della vita che è il "dolore innocente"... ANTONIETTA MEO, DETTA NENNOLINA: UNA MISTICA DI SEI ANNI [...] Tra i piccoli grandi santi vogliamo ricordare Antonietta Meo (Roma, 1 dicembre 1930 - 5 luglio 1937) detta Nennolina perché, come scrive la mamma nel diario, "Antonietta sembrava troppo lungo. Allora pensammo di chiamarla con un diminutivo e dopo diversi pareri decidemmo per Nenne. Di qui poi il vezzeggiativo Nennolina". [...] Battezzata nella festa dei Santi Innocenti in Santa Croce di Gerusalemme, chiesa parrocchiale della famiglia, mai data e luogo furono più carichi di significato alla luce di quanto successe poi a questa bimba. Una vicenda profondamente segnata dalla croce di Cristo, abbracciata nella gioiosa convinzione dell'adimpleo paolino - "Completo in me quanto manca alle sofferenze di Cristo" (Col 1,24) - e costellata di fatti straordinari, generalmente riferiti nelle letterine che Antonietta dettò alla mamma. I contenuti di queste letterine, uniti ai fatti straordinari che vedremo più avanti, rivelano, secondo gli specialisti, un'autentica tipologia di esperienza mistica. Tanto più singolare in quanto Antonietta è una bimba normalissima: a 3 anni frequenta l'asilo delle suore, a 5 iscritta nelle "piccolissime" della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, a 6 inizia la prima elementare dalle stesse religiose e diventa "beniamina" della Gioventù Femminile. Ma già nell'aprile 1936 un osteosarcoma richiede l'amputazione della gamba sinistra e così inizia la sua dolorosissima via crucis, ma anche la sua ineffabile esperienza di Dio. Nel settembre 1936 va in prima elementare con una protesi che le dà molto fastidio, come dice a Gesù: "Ogni passo che faccio sia una parolina d'amore" (26 marzo 1937). Pure allacciargliela era difficile, perché non stava mai ferma, e Caterina, la domestica, ricorda che una volta le disse: "Tu vuoi sempre giocare e io non ho tempo da perdere; non ti metto più l'apparecchio". Nennolina allora tutta seria rispose: "Sii buona; starò ferma [...] Io lo porto per amor di Gesù e tu mettimelo per amore di Gesù". Infine, sconcertante per noi è leggere che il 25 aprile, anniversario dell'amputazione, lo volle celebrare con una novena alla Madonna di Pompei, perché le aveva ottenuto la grazia di offrire la sua gamba a Gesù, e con "un gran pranzo e aprire la bottiglia per fare il brindisi". Colpiti da quelle letterine e dalla...

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Germana Cousin, la santa di cui avevamo bisogno

6/6/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7434 GERMANA COUSIN, LA SANTA DI CUI AVEVAMO BISOGNO di Suor Maria Teresa Ribeiro Matos Le finestre alte e strette, le ampie torri e la facciata murata per metà davano un aspetto di fortezza alla piccola chiesa medievale di Santa Maria Maddalena, nel villaggio francese di Pibrac. Il villaggio si trovava a pochi chilometri dalla grande e sviluppata città che dominava il sud della Francia e che aveva accumulato molta fama nel corso dei secoli: Tolosa. Tra gli innumerevoli avvenimenti che componevano la sua storia, c'era stata la partenza per la Prima Crociata del suo conte, il non poco ambizioso Raimondo IV; aveva poi assistito agli innumerevoli colpi inferti nelle sue vicinanze dalla spada di Simon de Montfort in lotta contro l'eresia catara; e in seguito era stata anche teatro di battaglie sanguinose tra cattolici e ugonotti protestanti. Tuttavia, questi episodi - e moltissimi altri - avevano poco effetto sulla vita semplice di campagna degli abitanti di Pibrac. Il bestiame, le difficoltà climatiche per i raccolti e, a volte, la guerra assorbivano completamente quella gente. Un'esistenza dignitosa e pia sostenuta da un lavoro onesto era tutto ciò che desideravano. Finché un pomeriggio del 1644, un evento modificò la routine del villaggio e, successivamente, lo rese famoso fino ai confini del mondo cattolico. UNA SCOPERTA ECCEZIONALE Guillaume Cassé lavora con impegno sul pavimento della chiesa di Pibrac per rimuovere una spessa lastra. Una pia parrocchiana è deceduta e i suoi parenti desiderano che il corpo riposi nel sacro recinto in attesa della resurrezione finale. Dopo numerosi colpi e molto sforzo, il becchino conficca di nuovo il suo piccone, facendolo penetrare in profondità e staccando la pietra dal suolo. Improvvisamente, si sente un grido di stupore che attira tutti i presenti presso l'apertura. Contemplano qualcosa di prodigioso e spaventoso allo stesso tempo: il corpo di una fanciulla giace lì in perfetto stato. Sembra così viva che tutti percepiscono il segno rosso che il piccone di Guillaume ha lasciato sul suo viso. Che miracolo! La notizia si diffonde presto nel villaggio e tutti accorrono curiosi. Chi era quella Santa, nata nel loro ambiente, ma delle cui virtù non si erano nemmeno resi conto? Alla fine, alcuni di maggiore esperienza e di età avanzata la riconoscono: è Germana Cousin, la povera pastorella scrofolosa che era morta più di quarant'anni prima. Anche senza sapere molto di come era vissuta o di quello che aveva fatto, la gente la tolse da terra e cominciò a venerarla su un lato del tempio, non avendo il minimo dubbio che tanta pace, serenità e giovialità potessero emanare solo da un corpo la cui anima era molto vicina a Dio e alla Santissima Vergine. Ma, allora, chi era quella giovane, tanto attraente quanto sconosciuta? UNA VITA DI STENTI E MALTRATTAMENTI La Storia non registra con sicurezza il nome dei genitori di Germana, ma si sa che apparteneva alla famiglia Cousin, proprietaria di una fattoria a Pibrac. Oltre al suo braccio destro atrofizzato, la cui deformazione si poteva constatare nel suo corpo angelico, Germana aveva sofferto una terribile malattia, la scrofolosi. A quel tempo, questa malattia era incurabile e, essendo contagiosa, portava alla bambina, oltre alla sofferenza fisica, il disprezzo e il trattamento disumano da parte della sua matrigna. Tra le umiliazioni che questa le infliggeva c'era il divieto di avvicinarsi alla tavola della famiglia e la costrizione a dormire in un angolo del corridoio o addirittura nella stalla, da dove doveva uscire la mattina presto per passare la giornata nei campi a badare al gregge. Questo era l'unico compito per il quale era giudicata capace e che aiutava oltretutto a tenerla lontana da casa. Nei mesi di freddo o di caldo indossava sempre gli stessi vestiti e le veniva dato solo un pezzo di pane da mangiare. Per tutto il giorno, Germana guidava il gregge attraverso la...

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San Bonifacio, padre dei popoli germanici

5/31/2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7424 SAN BONIFACIO, PADRE DEI POPOLI GERMANICI Entrò a 7 anni in un monastero benedettino e qui scoprì il segreto per trionfare su se stesso, sulla barbarie e sull'inferno: diventò vescovo ed evangelizzò mezza Germania per poi coronare la sua vita con il martirio di Suor M. Teresa Ribeiro Belle parate militari, città perfettamente organizzate, salsicce succulente, boschi la cui disposizione obbedisce a una regolarità impeccabile: ecco alcuni degli indiscutibili pregi della Germania. In essi risplende l'innocenza nell'ordine di battaglia, che affascina, colpisce e suscita ammirazione. Frutti autentici di un popolo civile e appassionato di disciplina, questi e molti altri aspetti fiorirono, sotto la benedizione della Santa Chiesa, al calore di anime valorose che segnarono la Storia. Soffermiamoci in queste righe a contemplarne una: l'uomo provvidenziale cui toccò la missione di cristianizzare i popoli al di là del Reno e offrire per essi la sua vita in olocausto. Di questo instancabile apostolo scriveva un antico biografo: "Il santo vescovo Bonifacio può essere chiamato padre di tutti gli abitanti della Germania, perché li ha generati per Cristo con la parola della santa predicazione, li ha confermati con i suoi esempi, e infine arrivò a dare per loro la sua vita, che è la più grande prova d'amore". Torniamo ora alla fine del settimo secolo, quando la vita sublime, disciplinata ed edificante dell'Ordine di San Benedetto si stava espandendo in tutta Europa. Vere e proprie fabbriche di eroi, le loro abbazie formavano uomini e donne in un regime di equilibrio e sacralità propizio a ordinare le tendenze della natura verso ideali di grande respiro. Le anime che lì si santificavano nella fedeltà al loro fondatore, al suo carisma e alla sua regola diventavano adatte ai viaggi e alle azioni più ardite, alle arti e ai pensieri più elaborati, alle sofferenze e ai martìri più terribili, per la gloria di Dio e per il bene del prossimo. Anche l'Inghilterra, recentemente cristianizzata da Sant'Agostino di Canterbury, era stata affascinata dalle grazie benedettine. E fu lì che, intorno all'anno 680, nacque un bambino che si lasciò rapidamente incantare da questo stile di vita. A soli cinque anni, Winfrido, di famiglia anglosassone, chiede di entrare in un'abbazia. Suo padre resiste, giudicandolo ancora molto piccolo, ma due anni dopo gli permette di entrare nel monastero di Nursling. Educato nella saggia regola dell' "ora et labora", il piccolo impara il latino, la metrica, la poesia e l'esegesi. Da adolescente, diventa insegnante di grammatica latina, compone diverse poesie in questa lingua e scrive alcuni trattati. UN UOMO SACRALE Al pari della brillante cultura, la sua anima è raffinata nelle virtù proprie di un religioso. Con l'obbedienza conquista il dominio sulla propria volontà; con la castità assomiglia agli Angeli; con l'umiltà impara a volere il massimo, non per se stesso ma per la gloria di Dio; con la preghiera e la contemplazione ascende al Cielo, svolgendo tutte le sue attività con la mente posta sui più alti orizzonti soprannaturali. Diventa così un uomo sacro, che non si accontenta di possedere in sé la sublimità della grazia, ma desidera conquistare tutta la terra per Dio. Un segno dell'autenticità dei suoi desideri è la disposizione a superare qualsiasi ostacolo e ad accettare tutte le sfide interiori ed esteriori. Winfrido fu ordinato sacerdote nell'anno 710, quando probabilmente aveva trent'anni. Quando viene convocato il sinodo del Wessex, riceve dall'Arcivescovo di Canterbury una delicata missione in cui ottiene un tale successo che la sua fama comincia presto a diffondersi. Quando se ne rende conto, chiede al suo superiore il permesso di essere missionario, rinunciando a qualsiasi prestigio mondano. Gli occhi del santo sacerdote si rivolgono a un popolo non istruito ma pieno di vigore. Dopo essersi affidato a innumerevoli comunità...

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