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Papale papale

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Rileggere il magistero dei Pontefici a partire da Pio XII. È il podcast “Papale papale”, a cura di Amedeo Lomonaco, Fabio Colagrande e Benedetta Capelli con la collaborazione dell'Archivio Editoriale Multimediale - Radio Vaticana. La copertina è stata realizzata da Mauro Pallotta, in arte "Maupal". On line anche su Spotify e ogni giorno in onda sulle frequenze della Radio Vaticana. - Podcast - Radio Vaticana - Vatican News

Location:

United States

Genres:

News

Description:

Rileggere il magistero dei Pontefici a partire da Pio XII. È il podcast “Papale papale”, a cura di Amedeo Lomonaco, Fabio Colagrande e Benedetta Capelli con la collaborazione dell'Archivio Editoriale Multimediale - Radio Vaticana. La copertina è stata realizzata da Mauro Pallotta, in arte "Maupal". On line anche su Spotify e ogni giorno in onda sulle frequenze della Radio Vaticana. - Podcast - Radio Vaticana - Vatican News

Language:

Italian


Episodes
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Ep. 164 - Papale papale -"Ascensione"

5/9/2024
Giovanni Paolo II, Solennità dell’Ascensione del Signore 12 maggio 1983 “Ascende il Signore tra canti di gioia!”. È motivo di profonda letizia per la Chiesa tutta, e anche per l’umanità, la celebrazione liturgica del mistero dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo, il quale è stato esaltato e glorificato solennemente da Dio. La Liturgia applica oggi a Cristo, che ritorna al Padre, le parole esultanti che il salmista dedica all’Eterno: “Ascende Dio tra le acclamazioni, / il Signore al suono di tromba. / Cantate inni al nostro re, cantate inni. / Dio è re di tutta la terra, Dio regna sui popoli, / Dio siede sul suo trono santo!” (Sal 47, 6-9). In questo “mistero della vita di Cristo, noi meditiamo, da una parte, la glorificazione di Gesù di Nazaret, morto e risorto, e, dall’altra, la sua partenza da questa terra e il suo ritorno al Padre. Giovanni XXIII, canonizzazione di San Gregorio Barbarigo, 26 maggio 1960 Dal suo primo apparire nel seno verginale di Maria, e poi fra i vagiti e i sorrisi a Betlemme, dai silenzi e dal nascondimento umile e laborioso dei trent'anni, dall'annunzio dell'evangelium regni attraverso la Galilea e la Giudea, e infine dal tragico epilogo della Passione fino ai chiarori vittoriosi della Risurrezione, fino a questa ammirabile Ascensione che accende di luce superna i nostri occhi e penetra di grazia esultante i cuori: oh! che successione stupenda ed ineffabile — diletti Fratelli e figli — d'avvenimenti ; oh ! che variazione inattesa di aspetti iridescenti dell'intima comunicazione del divino con l'umano, del cielo con la terra! Ancora un istante, ancora un tocco nella contemplazione di questo quadro sublime. All'arrivo di Gesù in cielo, egli adempie le sue promesse. Ecco lo Spirito Santo nei bagliori delle lingue di fuoco posate sulle teste dei convenuti nel Cenacolo, in atto di operare nei petti quella fecondazione di grazia, da cui balza la Santa Chiesa nella sua distinta fisionomia di società soprannaturale e gerarchica, introducendola nella sua storia di regno di Dio militante sulla terra, perchè si evolva, poi, in purgante oltre la tomba e finalmente trionfante in cielo. Pio XII, Messa nel 25.mo anniversario della consacrazione episcopale 14 maggio 1942 La parola Nostra si rivolge a voi nella solennità di questo giorno, in cui tutto il popolo cristiano, che, sparso sulla faccia della terra, vive della fede di Roma, si unisce con Noi e con voi nell'adorare quel Dio, Salvatore degli uomini, asceso al cielo e sedente alla destra del Padre, quale nostro Avvocato presso di Lui. Or ora, mentre ai piedi di questo Altare, fra i pensosi ricordi che commovevano e inondavano l'animo Nostro, indossavamo i sacri paramenti per prepararCi a celebrare il Sacrificio eucaristico, il Nostro sguardo, sollevandosi, contemplava risplendente dall'alto di questo meraviglioso baldacchino, in mezzo a raggi d'oro, l'immagine della colomba con le ali aperte, evangelico e confortante simbolo dello Spitito Santo Paraclito, che sta sopra la Chiesa e vi spira e diffonde i multiformi carismi della sua grazia e la copia della sua pace spirituale. Francesco, Regina Caeli 13 maggio 2018 L’Ascensione del Signore al cielo, mentre inaugura una nuova forma di presenza di Gesù in mezzo a noi, ci chiede di avere occhi e cuore per incontrarlo, per servirlo e per testimoniarlo agli altri. Si tratta di essere uomini e donne dell’Ascensione, cioè cercatori di Cristo lungo i sentieri del nostro tempo, portando la sua parola di salvezza sino ai confini della terra. In questo itinerario noi incontriamo Cristo stesso nei fratelli, soprattutto nei più poveri, in quelli che soffrono nella propria carne la dura e mortificante esperienza di vecchie e nuove povertà. Come all’inizio Cristo Risorto inviò i suoi apostoli con la forza dello Spirito Santo, così oggi Egli invia tutti noi, con la stessa forza, per porre segni concreti e visibili di speranza. Perché Gesù ci dà la speranza, se ne è andato in cielo e ha aperto le porte del cielo e la...

Duration:00:09:34

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Ep. 163 - Papale papale -"Salvezza"

5/8/2024
Francesco, Angelus 21 agosto 2016 L’evangelista Luca racconta che Gesù è in viaggio verso Gerusalemme e durante il percorso viene avvicinato da un tale che gli pone questa domanda: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,23). Gesù non dà una risposta diretta, ma sposta il dibattito su un altro piano, con un linguaggio suggestivo, che all’inizio forse i discepoli non capiscono: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» (v.24). Con l’immagine della porta, Egli vuol far capire ai suoi ascoltatori che non è questione di numero – quanti si salveranno - , non importa sapere quanti, ma è importante che tutti sappiano quale è il cammino che conduce alla salvezza. Tale percorso prevede che si attraversi una porta. Ma, dov’è la porta? Com’è la porta? Chi è la porta? Gesù stesso è la porta. Giovanni XXIII, discorso agli infermi convenuti nella Basilica Vaticana 19 marzo 1959 Per ricavare dalla meditazione della Croce tutto il frutto spirituale promesso alla sofferenza cristiana, occorre avere in voi il dono della grazia, che è la vita propria dell'anima cristiana. Nella grazia troverete forza, non solo di accettare le sofferenze con rassegnazione, ma di amarle come le amarono i Santi; i vostri dolori non andranno perduti, ma potranno unirsi ai dolori del Crocifisso, ai dolori della Vergine, la più innocente delle creature; e la vostra vita potrà così diventare veramente conforme alla immagine del Figlio di Dio, re dei dolori, e la più sicura via per il Cielo. Ma vi è di più. La Passione di Gesù vi rivelerà altresì la fecondità immensa della sofferenza per la santificazione delle anime e la salvezza del mondo. Mirate ancora il Divin Salvatore Crocifisso! Con le sue parole e con i suoi esempi egli ha ammaestrato gli uomini, coi suoi miracoli li ha beneficati, ma soprattutto è stato con la sua Passione e la sua Croce che ha salvato il mondo. Pio XII, discorso ai fedeli di Roma 10 febbraio 1952 Ed ora è tempo, diletti figli! È tempo di compiere gli altri definitivi passi; è tempo di scuotere il funesto letargo; è tempo che tutti i buoni, tutti i solleciti dei destini del mondo, si riconoscano e serrino le loro file; è tempo di ripetere con l'Apostolo: «Hora est iam nos de somno surgere» (Rom. 13, 2): È ora che ci svegliamo dal sonno, poiché vicina è adesso la nostra salvezza! È tutto un mondo, che occorre rifare dalle fondamenta, che bisogna trasformare da selvatico in umano, da umano in divino, vale a dire secondo il cuore di Dio. Da milioni di uomini si invoca un cambiamento di rotta, e si guarda alla Chiesa di Cristo come a valida ed unica timoniera, che, nel rispetto della umana libertà, possa essere alla testa di così grande impresa, e s'implora la guida di lei con aperte parole, e anche più con le lacrime già versate, con le ferite ancora doloranti, additando gli sterminati cimiteri, che l'odio organizzato ed armato ha disteso sui continenti. Giovanni Paolo I, udienza generale 20 settembre 1978 Dio è onnipotente, Dio mi ama immensamente, Dio è fedele alle promesse. Ed è Lui, il Dio della misericordia, che accende in me la fiducia; per cui io non mi sento né solo, né inutile, né abbandonato, ma coinvolto in un destino di salvezza, che sboccherà un giorno nel Paradiso. (...) Qualcuno dirà: ma se io sono povero peccatore? Gli rispondo come risposi a una signora sconosciuta, che s'era confessata da me molti anni fa. Essa era scoraggiata, perché - diceva - aveva avuta una vita moralmente burrascosa. Posso chiederle - dissi - quanti anni ha? - Trentacinque. - Trentacinque! Ma lei può viverne altri quaranta o cinquanta e fare ancora un mucchio di bene. Allora, pentita com'è, invece che pensare al passato, si proietti verso l'avvenire e rinnovi, con l'aiuto di Dio, la sua vita. Giovanni Paolo II, Angelus 4 dicembre 1983 La salvezza scende dal cielo, ma germoglia anche dalla terra. (...) La storia della salvezza, che è storia di un’alleanza con Dio, si...

Duration:00:09:55

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Ep. 162 - Papale papale -"Incontro"

5/7/2024
Francesco, udienza generale 29 marzo 2023 L’incontro con Gesù Cristo ti cambia da dentro, ti fa un’altra persona. Se uno è in Cristo è una nuova creatura, questo è il senso di essere una nuova creatura. Diventare cristiano non è un maquillage che ti cambia la faccia, no! Se tu sei cristiano ti cambia il cuore ma se tu sei cristiano di apparenza, questo non va… cristiani di maquillage non vanno. Il vero cambiamento è del cuore. (...) Ognuno di noi pensi a questo: “Io sono un religioso?” – “Va bene” – “Io prego?” – “Sì” - “Io cerco di osservare i comandamenti?” – “Sì” – “Ma dov’è Gesù nella tua vita?” – “Ah, no io faccio le cose che comanda la Chiesa”. Ma Gesù dov’è? Hai incontrato Gesù, hai parlato con Gesù? Tu prendi il Vangelo o parli con Gesù, ti ricordi chi è Gesù? E questa è una cosa che ci manca tante volte. Quando entra Gesù nella tua vita, come è entrato nella vita di Paolo, Gesù entra cambia tutto. Giovanni Paolo II, incontro con 20 mila giovani durante la visita pastorale a Genova 22 settembre 1985 Il Papa è venuto per invitarvi al cammino, alla novità continua da cercare dentro di voi, con la vostra stessa vita. (...) D’altra parte, voi stessi sapete che non c’è incontro vero che non lascia traccia. Per questo non ci può essere l’incontro con “l’amorevole sguardo” di Gesù senza che la vita, dentro e fuori, non ne rimanga intaccata. Anzi, la prova che avete incrociato lo sguardo del Maestro è proprio il vostro modo di vivere, l’ordine delle vostre scelte, la consequenzialità di esse, in una parola: il vostro comportamento di creature nuove, secondo le “Beatitudini” del Vangelo. Benedetto XVI, udienza generale 17 ottobre 2012 Si tratta dell’incontro non con un’idea o con un progetto di vita, ma con una Persona viva che trasforma in profondità noi stessi, rivelandoci la nostra vera identità di figli di Dio. L’incontro con Cristo rinnova i nostri rapporti umani, orientandoli, di giorno in giorno, a maggiore solidarietà e fraternità, nella logica dell’amore. Avere fede nel Signore non è un fatto che interessa solamente la nostra intelligenza, l’area del sapere intellettuale, ma è un cambiamento che coinvolge la vita, tutto noi stessi: sentimento, cuore, intelligenza, volontà, corporeità, emozioni, relazioni umane. Con la fede cambia veramente tutto in noi e per noi, e si rivela con chiarezza il nostro destino futuro, la verità della nostra vocazione dentro la storia, il senso della vita, il gusto di essere pellegrini verso la Patria celeste. Ma - ci chiediamo - la fede è veramente la forza trasformante nella nostra vita, nella mia vita? Oppure è solo uno degli elementi che fanno parte dell’esistenza, senza essere quello determinante che la coinvolge totalmente? Giovanni XXIII, saluto ai fedeli partecipanti alla fiaccolata in occasione dell’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II 11 ottobre 1962 La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato Padre per la volontà di Nostro Signore, ma tutt’insieme: paternità e fraternità e grazia di Dio, tutto, tutto! Continuiamo, dunque, a volerci bene, a volerci bene così, a volerci bene così, guardandoci così nell’incontro, cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte quello - se c’è – qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà. Niente: Fratres sumus! La luce che splende sopra di noi, che è nei nostri cuori, che è nelle nostre coscienze, è luce di Cristo, il quale veramente vuol dominare, con la Grazia sua, tutte le anime.

Duration:00:08:44

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Ep. 161 - Papale papale -"Rivelazione"

5/6/2024
Benedetto XVI, udienza generale 12 dicembre 2012 Questa Rivelazione di Dio si inserisce nel tempo e nella storia degli uomini: storia che diventa «il luogo in cui possiamo costatare l’agire di Dio a favore dell’umanità. Egli ci raggiunge in ciò che per noi è più familiare, e facile da verificare, perché costituisce il nostro contesto quotidiano, senza il quale non riusciremmo a comprenderci». L’evangelista san Marco riporta, in termini chiari e sintetici, i momenti iniziali della predicazione di Gesù: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15). Ciò che illumina e dà senso pieno alla storia del mondo e dell’uomo inizia a brillare nella grotta di Betlemme. (...) In Gesù di Nazaret Dio manifesta il suo volto e chiede la decisione dell’uomo di riconoscerlo e di seguirlo. rivelarsi di Dio nella storia per entrare in rapporto di dialogo d’amore con l’uomo, dona un nuovo senso all’intero cammino umano. La storia non è un semplice succedersi di secoli, di anni, di giorni, ma è il tempo di una presenza che le dona pieno significato e la apre ad una solida speranza. Giovanni Paolo II, udienza generale 3 aprile 1985 La fede è l’obbedienza della ragione e della volontà a Dio che rivela. Questa “obbedienza” consiste innanzitutto nell’accettare “come verità” ciò che Dio rivela: l’uomo rimane in armonia con la propria natura razionale in questo accogliere il contenuto della rivelazione. Ma mediante la fede l’uomo s’abbandona tutt’intero a questo Dio che gli rivela se stesso, e allora, mentre riceve il dono “dall’alto”, risponde a Dio con il dono della propria umanità. (...) La rivelazione - e di conseguenza anche la fede - “supera” l’uomo, perché apre davanti a lui le prospettive soprannaturali. Ma in queste prospettive è posto il più profondo compimento delle aspirazioni e dei desideri radicati nella natura spirituale dell’uomo: la verità, il bene, l’amore, la gioia, la pace. Sant’Agostino ha dato espressione a questa realtà nella frase famosa: “Inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (S. Agostino, Confessiones, I, 1). Giovanni XXIII, omelia nella Solennità di Pentecoste 10 giugno 1962 L'uomo che scruta i penetrali della scienza e cerca il punto di contatto tra cielo e terra, sa che nessun quesito rimane insoluto dalla apostolica dottrina: che nessuna soluzione viene offerta con intendimento polemico o con presuntuosa facilità. Dall'alto la verità splende: ma attingere alla sua vetta, non importa gran fatica per alcuno, quando sia animato da volontà decisa e libero da opprimenti legami. La Chiesa, continuando a rendere testimonianza a Gesù Cristo, non vuol togliere nulla all'uomo; non gli nega il possesso delle sue conquiste e il merito degli sforzi compiuti. Ma vuol aiutarlo a ritrovarsi, a riconoscersi; a raggiungere quella pienezza di conoscenze e di convinzioni, che è stata in ogni tempo anelito degli uomini saggi, anche al di fuori della divina rivelazione. In questo immenso spazio di attività che le si apre dinanzi, la Chiesa abbraccia con materna sollecitudine ogni uomo, e lo vuol persuadere ad accogliere il divino messaggio cristiano, che dà sicuro orientamento alla vita individuale e sociale. Francesco, Regina Caeli 28 marzo 2016 «Cristo, mia speranza, è risorto!». Se Cristo è risuscitato, possiamo guardare con occhi e cuore nuovi ad ogni evento della nostra vita, anche a quelli più negativi. I momenti di buio, di fallimento e anche di peccato possono trasformarsi e annunciare un cammino nuovo. Quando abbiamo toccato il fondo della nostra miseria e della nostra debolezza, Cristo risorto ci dà la forza di rialzarci. Se ci affidiamo a Lui, la sua grazia ci salva! Il Signore crocifisso e risorto è la piena rivelazione della misericordia, presente e operante nella storia. Ecco il messaggio pasquale che risuona ancora oggi e che risuonerà per tutto il tempo di Pasqua fino a Pentecoste.

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Ep. 160 - Papale papale -"Guardie"

5/3/2024
Francesco, discorso alla Guardia Svizzera Pontificia, in occasione del giuramento delle nuove Giardie, 4 maggio 2015 Nella storia della Chiesa, molti uomini e donne hanno fatto propria la chiamata di questo grande amore. Le Guardie Svizzere che hanno combattuto durante il Sacco di Roma e che hanno dato la loro vita per la difesa del Papa, hanno seguito questa chiamata. E rispondere con dedizione a questa chiamata significa seguire Cristo. Negli Esercizi Spirituali sant’Ignazio di Loyola, che da giovane era stato un soldato, parla della “chiamata del Re”, cioè Cristo, che vuole edificare il suo Regno e sceglie i suoi collaboratori. Il Signore vuole costruire il suo Regno con la collaborazione degli uomini. Ha bisogno di persone decise e coraggiose. Così, secondo sant’Ignazio, Cristo Re chiede a chi vuole andare con Lui di accontentarsi dello stesso cibo, della stessa bevanda e degli stessi abiti suoi. Gli chiede di essere pronto a faticare durante il giorno e a stare sveglio di notte, perché così parteciperà alla vittoria (cfr ES, 91ss.). Allo stesso tempo, Ignazio paragona il mondo a due campi militari, uno con il vessillo di Cristo e l’altro con il vessillo di Satana. Ci sono solo questi due campi. Per il cristiano la scelta è chiara: egli segue il vessillo di Cristo (cfr ibid.,136ss.). Paolo VI, discorso agli allievi della Guardia Svizzera 7 maggio 1977 Quest’incontro con voi pertanto, cari figli, costituisce un’occasione per noi graditissima e quanto mai significativa per riconfermare pubblicamente la nostra viva riconoscenza e il nostro sincero apprezzamento per il servizio da voi svolto nella nostra dimora; servizio nel quale vi esortiamo a perseverare con quella dedizione piena e generosa che vi ha sempre distinti anche di fronte ai molti disagi e sacrifici richiesti, che spesso potranno sfuggire alla valutazione degli uomini, ma non a quella di Dio. (...) Dovunque e in ogni situazione della vita, la fedeltà al Vicario di Cristo sia sempre il vostro distintivo di onore, il vostro tesoro. Anche di ciò ha bisogno la Chiesa soprattutto oggi per la sua difesa, per il suo sviluppo, e su di essa principalmente fa affidamento per svolgere la sua laboriosa, e spesso difficile, ma insostituibile missione nel mondo. Benedetto XVI, discorso alla Guardia Svizzera Pontificia, in occasione del giuramento delle nuove Giardie, 5 maggio 2007 Vi aiuti il Signore, cari amici, a realizzare compiutamente questa vostra peculiare missione, lavorando ogni giorno “acriter et fideliter”, con coraggio e con fedeltà. Per questo, non cessate di alimentare il vostro spirito con la preghiera e l’ascolto della parola di Dio; partecipate con devozione alla Santa Messa e coltivate una filiale devozione verso Maria. Invocate e cercate di imitare i vostri santi Patroni Martino, Sebastiano e Nicola di Flüe, “defensor pacis et pater patriae”, perché dal Cielo vi assistano, e voi possiate “servire fedelmente, lealmente e onorevolmente il Sommo Pontefice ed i suoi legittimi Successori”, come ognuno di voi pronunzia nella formula del giuramento. Quanto a me, mentre vi ringrazio ancora una volta per la vostra dedizione, esprimo voti augurali particolarmente per le nuove Guardie Svizzere.

Duration:00:08:10

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Ep. 159 - Papale papale -"Primavera"

5/2/2024
Pio XII, discorso ai giovani della gioventù italiana di Azione Cattolica 19 marzo 1958 A primavera la terra si desta, ascende la linfa, si aprono le gemme, tornano le foglie sugli alberi; rivivono le siepi, si ammantano di verde i prati e i campi esultano negli alberi in fiore. I cieli si schiariscono; si fanno più lunghi i giorni, più brevi le notti; vi è più luce che tenebra. Senza dubbio vi sono sovente nubi nel cielo, e sulla terra i rovesci del temporale; ma gli uomini ripopolano i campi e s'indugiano più facilmente per le strade: la festa della natura diviene festa di cuori, perché la primavera è tempo di rinnovamento, tempo di fiduciosa attesa, tempo di speranza. Guardate, diletti figli: tutto nel mondo è risveglio. La vita materiale, pur in mezzo a tante tristezze e miserie, si muove sempre verso un maggiore e più diffuso benessere. Benedetto XVI, Regina Caeli 9 maggio 2010 Maggio è un mese amato e giunge gradito per diversi aspetti. Nel nostro emisfero la primavera avanza con tante e colorate fioriture; il clima è favorevole alle passeggiate e alle escursioni. Per la Liturgia, maggio appartiene sempre al Tempo di Pasqua, il tempo dell’“alleluia”, dello svelarsi del mistero di Cristo nella luce della Risurrezione e della fede pasquale; ed è il tempo dell’attesa dello Spirito Santo, che scese con potenza sulla Chiesa nascente a Pentecoste. Ad entrambi questi contesti, quello “naturale” e quello liturgico, si intona bene la tradizione della Chiesa di dedicare il mese di maggio alla Vergine Maria. Ella, in effetti, è il fiore più bello sbocciato dalla creazione, la “rosa” apparsa nella pienezza del tempo, quando Dio, mandando il suo Figlio, ha donato al mondo una nuova primavera. Giovanni Paolo II, visita alla parrocchia di San Giuda Taddeo, discorso ai giovani 6 aprile 1997 Grazie a tutti grazie ai giovani. Quando si pensa alla giovinezza viene in mente la primavera. La primavera è il tempo quando la natura risorge dopo, la «morte» dell'inverno. Coincide con la primavera ogni anno la solennità della Pasqua, che ci ricorda la risurrezione di Cristo. Egli con la sua risurrezione ha manifestato che la morte non ha potere assoluto e definitivo. Egli ha vinto la morte e ha manifestato la vita. La primavera della vita umana coincide con la giovinezza. Io vedo qui anche giovani di 70 o 80 anni. Mi congratulo con voi, per questo desiderio di essere sempre giovani di voler tornare alla primavera della vita alla giovinezza. Francesco, udienza generale 23 agosto 2017 Crediamo che i nostri giorni più belli devono ancora venire. Siamo gente più di primavera che d’autunno. A me piacerebbe domandare, adesso – ognuno risponda nel suo cuore, in silenzio, ma risponda –: “Io sono un uomo, una donna, un ragazzo, una ragazza di primavera o di autunno? La mia anima è in primavera o è in autunno?”. Ognuno si risponda. Scorgiamo i germogli di un mondo nuovo piuttosto che le foglie ingiallite sui rami. Non ci culliamo in nostalgie, rimpianti e lamenti: sappiamo che Dio ci vuole eredi di una promessa e instancabili coltivatori di sogni. Non dimenticate quella domanda: “Io sono una persona di primavera o di autunno?”. Di primavera, che aspetta il fiore, che aspetta il frutto, che aspetta il sole che è Gesù, o di autunno, che è sempre con la faccia guardando in basso, amareggiato e, come a volte ho detto, con la faccia dei peperoncini all’aceto.

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Ep. 158 - Papale papale -"Lavoro"

5/1/2024
Giovanni XXIII, radiomessaggio ai lavoratori in occasione della festività di San Giuseppe artigiano 1 maggio 1960 Ed oggi S. Giuseppe si ripresenta nella figura sua caratteristica di umile artigiano, di lavoratore. È quindi naturale che il Nostro pensiero vada verso le sin gole regioni e città, ove si svolge la vita di ogni giorno: alle case, alle scuole, agli uffici, ai negozi, alle fabbriche, alle officine, ai laboratori, a tutti i luoghi santificati dal lavoro intellettuale o manuale, nelle varie e nobili forme che esso riveste, secondo le forze e le capacità di ciascuno. Pensiamo alle famiglie di tutti voi che Ci ascoltate, specialmente a quelle che con docilità si aprono ai voleri della Provvidenza, o che nascondono trepidando un dolore, una malattia, una prova. E su tutti questi luoghi, il Nostro cuore ama raffigurarsi, paternamente china su le fatiche e le pene di ciascuno, l'immagine serena del Custode di Gesù e Sposo purissimo della Santa Vergine, a benedire, a incoraggiare, a sorreggere, a confortare. Paolo VI, Santa Messa nella Festività di San Giuseppe artigiano 1 maggio 1964 Anche questa elevazione del primo maggio a festa religiosa che cosa vi dice, alla fine? Che la Chiesa ha per voi una comprensione particolare. Niente sarebbe più contrario alla verità che il dubitare della comprensione della Chiesa verso il mondo del lavoro. E se il dubbio venisse (e viene ancora in tanti vostri colleghi, lontani dalla Chiesa e prevenuti malamente nei suoi riguardi) che la Chiesa non vi conosca, che la Chiesa badi ad altre cose che non la vostra vita, che la Chiesa preferisca altre amicizie che non la vostra, ebbene la festa, che stiamo celebrando, qui, in onore di San Giuseppe Lavoratore, e sulla tomba di San Pietro pescatore - un lavoratore anche lui, - basta per dimostrare quanto invece la Chiesa vi sia vicina... Pio XII discorso in occasione della Solennità di San Giuseppe artigiano 1 maggio 1955 Il 1° maggio, ben lungi dall'essere risveglio di discordie, di odio e di violenza, è e sarà un ricorrente invito alla moderna società per compiere ciò che ancora manca alla pace sociale. Festa cristiana, dunque; cioè, giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani della grande famiglie del lavoro. Affinché vi sia presente questo significato, e in certo modo quale immediato contraccambio per i numerosi e preziosi doni, arrecatici da ogni regione d'Italia, amiamo di annunziarvi la Nostra determinazione d'istituire — come di fatto istituiamo — la festa liturgica di S. Giuseppe artigiano, assegnando ad essa precisamente il giorno 1° maggio. Gradite, diletti lavoratori e lavoratrici, questo Nostro dono? Siamo certi che sì, perché l'umile artigiano di Nazareth non solo impersona presso Dio e la S. Chiesa la dignità del lavoratore del braccio, ma è anche sempre il provvido custode vostro e delle vostre famiglie. Giovanni Paolo II, Regina Coeli nella solennità di San Giuseppe artigiano e festa del lavoro 1 maggio 1983 Oggi, 1° maggio, si celebra in tutto il mondo la “Festa del lavoro”. (...) Il lavoro, che rappresenta una caratteristica specifica dell’uomo e una dimensione fondamentale della sua esistenza terrena, rientra nel progetto di Dio, il quale, creando l’uomo a propria immagine, gli ha dato il mandato di soggiogare, di dominare terra (cf. Gen 1, 28). La parola di Dio ci offre quello che, nella mia enciclica Laborem exercens ho chiamato il “Vangelo del lavoro”, quell’annuncio di gioia e di salvezza, che proclama come il fondamento e il fine del lavoro è l’uomo. Benedetto XVI, Regina Caeli 1 maggio 2005 Quest’oggi iniziamo il mese di maggio con una memoria liturgica tanto cara al popolo cristiano, quella di San Giuseppe Lavoratore. (...) E’ necessario testimoniare anche nell’odierna società il "Vangelo del lavoro", di cui parlava Giovanni Paolo II nell’Enciclica Laborem exercens. Auspico che non manchi il lavoro specialmente per i giovani, e che le condizioni lavorative siano sempre più rispettose...

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Ep. 157- Papale papale -"Operai"

4/30/2024
Paolo VI, Santa Messa nel centro industriale di Colleferro 11 settembre 1966 La Chiesa ama il mondo del lavoro, ama i lavoratori, gli operai, tutti quelli che svolgono un’attività secondo il modo con cui il lavoro moderno è organizzato, e con la psicologia, le esigenze le angustie che esso porta con sé. Sono venuto ad assicurarvi dell’affetto, della solidarietà, dell’interesse che la Chiesa ha per voi. (...) Quante volte, negli anni decorsi, andando in mezzo agli operai, soprattutto durante il ministero pastorale svolto nell’Arcidiocesi di Milano, è occorso al Papa di scorgere tanti volti di lavoratori silenziosi, muti, che sembrano soltanto osservare. In realtà non è che siano privi di un sentimento che non avvertono o che non vogliono esprimere. Sono diffidenti e perciò rimangono quasi intimiditi. Ebbene, la Chiesa spiega questo silenzio e questo riserbo. Essa arriva nell’intimo del cuore e coglie il risentimento per tutto quanto è ingiusto o il rammarico per cose non bene eseguite. Pio XII, discorso ad una rappresentanza dei lavoratori d’Italia 13 giugno 1943 Delle dure condizioni presenti la moltitudine degli operai, più di altri gravata e afflitta, non è però sola a risentire il peso; ogni ceto deve portare il suo fardello, quale più, quale meno penoso e molesto; né soltanto lo stato sociale dei lavoratori e delle lavoratrici domanda ritocchi e riforme, ma tutta l'intera e complessa struttura della società ha bisogno di raddrizzamenti e di miglioramenti, profondamente scossa com'è nella sua compagine. Chi non vede però che la questione operaia, per l'arduità e la varietà dei. problemi che implica, e per il vasto numero dei membri che interessa, è tale e di così gran necessità e importanza, che merita più attenta, vigilante e provvida cura? Questione se altra mai delicata; punto, si direbbe, nevralgico del corpo sociale, ma talvolta anche terreno mobile e infido, aperto a facili illusioni e a vane inattuabili speranze, per chi non tenga davanti all'occhio dell'intelligenza e all'impulso del cuore la dottrina di giustizia, di equità, di amore, di reciproca considerazione e convivenza, che inculcano la legge di Dio e la voce della Chiesa. Benedetto XVI, Angelus 21 settembre 2008 Cari fratelli e sorelle, forse ricorderete che quando, nel giorno della mia elezione, mi rivolsi alla folla in Piazza San Pietro, mi venne spontaneo presentarmi come un operaio della vigna del Signore. Ebbene, nel Vangelo di oggi (cfr Mt 20,1-16a), Gesù racconta proprio la parabola del padrone della vigna che a diverse ore del giorno chiama operai a lavorare nella sua vigna. E alla sera dà a tutti la stessa paga, un denaro, suscitando la protesta di quelli della prima ora. E’ chiaro che quel denaro rappresenta la vita eterna, dono che Dio riserva a tutti. Anzi, proprio quelli che sono considerati "ultimi", se lo accettano, diventano "primi", mentre i "primi" possono rischiare di finire "ultimi". Un primo messaggio di questa parabola sta nel fatto stesso che il padrone non tollera, per così dire, la disoccupazione: vuole che tutti siano impegnati nella sua vigna. E in realtà l’essere chiamati è già la prima ricompensa: poter lavorare nella vigna del Signore, mettersi al suo servizio, collaborare alla sua opera, costituisce di per sé un premio inestimabile, che ripaga di ogni fatica. Giovanni Paolo II, discorso ai lavoratori durante la visita pastorale a Livorno 19 marzo 1982 Sono passato accanto al banco del vostro lavoro e mi è tornato spontaneamente alla memoria il tempo in cui anch’io, dopo aver lasciato, a Cracovia, le cave di pietra di Zakrzowek, entrai a lavorare alla Solvay, in Borek Falecki, come addetto alle caldaie. (...) Considero una grazia del Signore l’essere stato operaio, perché questo mi ha dato la possibilità di conoscere da vicino l’uomo del lavoro, del lavoro industriale, ma anche di ogni altro tipo di lavoro. Ho potuto conoscere la concreta realtà della sua vita: un’esistenza impregnata di profonda umanità, anche se non immune da...

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Ep. 156- Papale papale -"Giornalisti"

4/29/2024
Paolo VI, discorso agli iscritti all’Unione Cattolica Stampa Italiana 22 settembre 1963 Parlare a Giornalisti! c’è di che tremare: i Giornalisti sono i professionisti della parola, sono gli esperti, gli artisti, i profeti della parola! Si può riferire ad essi ciò che Cicerone dice dell’oratore «omnia novit»; il giornalista sa tutto; la virtualità del suo pensiero e del suo linguaggio è tale da mettere in imbarazzo chiunque osi colloquiare con lui, anche se l’interlocutore ha una sua parola grave e densa da proferire; la quale però, a confronto di quella agile, duttile, felice del giornalista, resta timida e stentata e quasi dubbiosa di venire alle labbra. (...) Ma vi è mai pubblico più importante a cui rivolgere la parola di quello che alla parola dà la risonanza, dà le ali della stampa? Vi è mai pubblico più attento, più avido, più idoneo a tutto comprendere, a tutto raccogliere, a tutto divulgare? Non è il colloquio con i Giornalisti il più interessante, il più redditizio, il più degno d’essere accolto e servito? Giovanni Paolo I, discorso ai rappresentanti della stampa internazionale, 1 settembre 1978 La sacra eredità lasciataci dal Concilio Vaticano II e dai Nostri Predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, di cara e santa memoria, sollecita da Noi la promessa di un'attenzione speciale, di una franca, onesta ed efficace collaborazione con gli strumenti della comunicazione sociale, che voi qui degnamente rappresentate. E' una promessa che volentieri vi facciamo, consapevoli come siamo della funzione via via più importante che i mezzi della comunicazione sociale sono andati assumendo nella vita dell'uomo moderno. Non Ci nascondiamo i rischi di massificazione e di livellamento, che tali mezzi portano con sé, con le conseguenti minacce per l'interiorità dell'individuo, per la sua capacità di riflessione personale, per la sua obiettività di giudizio. Ma sappiamo anche quali nuove e felici possibilità essi offrano all'uomo d'oggi, di meglio conoscere ed avvicinare i propri simili, di percepirne più da vicino l'ansia di giustizia, di pace, di fraternità, di instaurare con essi vincoli più profondi di partecipazione, di intesa, di solidarietà in vista di un mondo più giusto ed umano. Giovanni Paolo II, discorso ad una rappresentanza di giornalisti, 28 febbraio 1986 Il rispetto della verità richiede un impegno serio, uno sforzo accurato e scrupoloso di ricerca, di verifica, di valutazione. Su questo punto vorrei restringere per un momento lo sguardo all’orizzonte ecclesiale. Il mio predecessore Giovanni Paolo I - il quale, come sapete, aveva avuto una singolare familiarità col giornalismo - proprio in quest’aula, tra le affabili espressioni che rivolse ai rappresentanti dei mezzi di comunicazione sociale, sottolineò la necessità di “entrare nella visuale della Chiesa, quando si parla della Chiesa”. E aggiunse: “Vi chiedo sinceramente, vi prego anzi di voler contribuire anche voi a salvaguardare nella società odierna quella profonda considerazione per le cose di Dio e per il misterioso rapporto tra Dio e ciascuno di noi, che costituisce la dimensione sacra della realtà umana”. Francesco, discorso al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti 22 settembre 2016 Il giornalismo non può diventare un’“arma di distruzione” di persone e addirittura di popoli. Né deve alimentare la paura davanti a cambiamenti o fenomeni come le migrazioni forzate dalla guerra o dalla fame. Auspico che sempre più e dappertutto il giornalismo sia uno strumento di costruzione, un fattore di bene comune, un acceleratore di processi di riconciliazione; che sappia respingere la tentazione di fomentare lo scontro, con un linguaggio che soffia sul fuoco delle divisioni, e piuttosto favorisca la cultura dell’incontro. Voi giornalisti potete ricordare ogni giorno a tutti che non c’è conflitto che non possa essere risolto da donne e uomini di buona volontà.

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Ep. 155- Papale papale -"Apocalisse"

4/26/2024
Benedetto XVI, udienza generale 5 settembre 2012 Oggi vorrei parlare della preghiera nel Libro dell’Apocalisse, che, come sapete, è l’ultimo del Nuovo Testamento. E’ un libro difficile, ma che contiene una grande ricchezza. Esso ci mette in contatto con la preghiera viva e palpitante dell’assemblea cristiana, radunata «nel giorno del Signore» (Ap 1,10): è questa infatti la traccia di fondo in cui si muove il testo. (...) Cari amici, l’Apocalisse ci presenta una comunità riunita in preghiera, perché è proprio nella preghiera che avvertiamo in modo sempre crescente la presenza di Gesù con noi e in noi. Quanto più e meglio preghiamo con costanza, con intensità, tanto più ci assimiliamo a Lui, ed Egli entra veramente nella nostra vita e la guida, donandole gioia e pace. E quanto più noi conosciamo, amiamo e seguiamo Gesù, tanto più sentiamo il bisogno di fermarci in preghiera con Lui, ricevendo serenità, speranza e forza nella nostra vita. Grazie per l’attenzione. Giovanni XXIII, allocuzione agli alunni dei Seminari e collegi ecclesiastici di Roma 28 gennaio 1960 Il secondo pensiero vi invita alle solide delizie della Sacra Scrittura: Accipite librum, et devorate illum. La figura profetica dell'Apocalisse vi sia sempre davanti agli occhi: è l'Angelo del mare e della terra che, su invito della voce dal cielo, porge a voi, come a Giovanni Apostolo, il Libro sacro. Quale efficace simbolo della Chiesa, che si estende su tutti i continenti, e che vi porge il suo tesoro prezioso! Nel Libro è segnata per ciascuno la voluntas Dei: vi è indicata la direzione della vita, e il segreto del successo di ogni buon apostolato, che non è mai frenetico di risultati umani, i quali possono anche mancare. Vedete infatti come agisce la Chiesa: coi suoi Concili, coi Sinodi, con le prescrizioni canoniche essa semina in un secolo, e raccoglie nei secoli successivi. Francesco, Angelus 1 novembre 2015 Nella liturgia, il Libro dell’Apocalisse richiama una caratteristica essenziale dei santi e dice così: essi sono persone che appartengono totalmente a Dio. Li presenta come una moltitudine immensa di “eletti”, vestiti di bianco e segnati dal “sigillo di Dio” (cfr 7,2-4.9-14). Mediante quest’ultimo particolare, con linguaggio allegorico viene sottolineato che i santi appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo, sono sua proprietà. E che cosa significa portare il sigillo di Dio nella propria vita e nella propria persona? Ce lo dice ancora l’apostolo Giovanni: significa che in Gesù Cristo siamo diventati veramente figli di Dio (cfr 1 Gv 3,1-3). Siamo consapevoli di questo grande dono? Tutti siamo figli di Dio! Giovanni Paolo II, udienza generale 3 luglio 1991 “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”. La risposta è decisa: nulla “potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 35.39). Pertanto l’auspicio di Paolo è che abbondiamo “nella speranza per virtù dello Spirito Santo” (Rm 15, 13). Radica qui l’ottimismo cristiano: ottimismo sul destino del mondo, sulla possibilità di salvezza dell’uomo in tutti i tempi, anche nei più difficili e duri, sullo sviluppo della storia verso la glorificazione perfetta di Cristo (“Egli mi glorificherà”: Gv 16, 14), e la partecipazione piena dei credenti alla gloria dei figli di Dio. Con questa prospettiva il cristiano può tener levato il capo e associarsi all’invocazione che secondo l’Apocalisse è il sospiro più profondo, suscitato nella storia dallo Spirito Santo: “Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni!” (Ap 22, 17). Ed ecco l’invito finale dell’Apocalisse e del Nuovo Testamento: “Chi ascolta, ripeta: Vieni! Chi ha sete, venga, chi vuole, attinga gratuitamente l’acqua della vita . . . Vieni, Signore Gesù!”

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Ep. 154 - Papale papale -"Alleanza"

4/25/2024
Benedetto XVI, omelia nella Solennità dell’Epifania del Signore 6 gennaio 2008 Tra i racconti iniziali della Bibbia, compare una prima “alleanza”, stabilita da Dio con Noè, dopo il diluvio. Si tratta di un’alleanza universale, che riguarda tutta l’umanità: il nuovo patto con la famiglia di Noè è insieme patto con “ogni carne”. Poi, prima della chiamata di Abramo si trova un altro grande affresco molto importante per capire il senso dell’Epifania: quello della torre di Babele. Afferma il testo sacro che in origine “tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole” (Gn 11,1). Poi gli uomini dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra” (Gn 11,4). La conseguenza di questa colpa di orgoglio, analoga a quella di Adamo ed Eva, fu la confusione delle lingue e la dispersione dell’umanità su tutta la terra (cfr Gn 11,7-8). (...) A questo punto inizia la storia della benedizione, con la chiamata di Abramo: incomincia il grande disegno di Dio per fare dell’umanità una famiglia, mediante l’alleanza con un popolo nuovo, da Lui scelto perché sia una benedizione in mezzo a tutte le genti (cfr Gn 12,1-3). Francesco, udienza generale 6 agosto 2014 Come Mosè aveva stipulato l’alleanza con Dio in forza della legge ricevuta sul Sinai, così Gesù, da una collina in riva al lago di Galilea, consegna ai suoi discepoli e alla folla un insegnamento nuovo che comincia con le Beatitudini. Mosè dà la Legge sul Sinai e Gesù, il nuovo Mosè, dà la Legge su quel monte, sulla riva del lago di Galilea. Le Beatitudini sono la strada che Dio indica come risposta al desiderio di felicità insito nell’uomo, e perfezionano i comandamenti dell’Antica Alleanza. (...) Prendete il Vangelo, quello che portate con voi… Ricordate che dovete sempre portare un piccolo Vangelo con voi, in tasca, nella borsa, sempre; quello che avete a casa. Portare il Vangelo, e nei primi capitoli di Matteo - credo nel 5 - ci sono le Beatitudini. (...) Cari amici, la nuova alleanza consiste proprio in questo: nel riconoscersi, in Cristo, avvolti dalla misericordia e dalla compassione di Dio. Paolo VI Messaggio Urbi et Orbi 10 arile 1966 Ed Egli, prima di offrirsi vittima innocente sull'altare della Croce, pregò il Padre per i credenti, dicendo: Tutti siano una cosa sola . . . Esaltato poi sulla Croce e glorificato, il Signore Gesù effuse lo Spirito promesso, per mezzo del quale chiamò e riunì nell'unità della fede, della speranza e della carità il popolo della nuova alleanza, che è la Chiesa . . . » (Decr. de Oecum. 2). La risurrezione di Cristo è il faro dell'unità spirituale e morale dell'umanità. Unità degli uomini con Dio, a Lui riconciliati mediante quel prodigio di misericordia e d'amore, che è la redenzione per noi sofferta ed a noi offerta da Cristo. Giovanni Paolo II, Udienza generale 2 agosto 1989 Nell’evento della Pentecoste di Gerusalemme la discesa dello Spirito Santo compie definitivamente la “nuova ed eterna” alleanza di Dio con l’umanità stabilita “nel sangue” del Figlio unigenito, come momento culminante del “dono dall’alto” (cf. Gc 1, 17). In quell’alleanza il Dio uno e trino “si dona” ormai non al solo popolo eletto, ma a tutta l’umanità. La profezia di Ezechiele: “Sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio” (Ez 36, 28) trova allora una dimensione nuova e definitiva: l’universalità. Realizza compiutamente la dimensione dell’interiorità, perché la pienezza del dono - lo Spirito Santo - deve riempire tutti i cuori, dando a tutti la forza necessaria per il superamento di ogni debolezza e di ogni peccato. Trova la dimensione dell’eternità: è un’alleanza “nuova ed eterna” (cf. Eb 13, 20). In quella pienezza del dono ha il proprio inizio la Chiesa come Popolo di Dio della nuova ed eterna alleanza.

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Ep. 153 - Papale papale -"Comandamenti"

4/24/2024
Francesco, udienza generale 20 giugno 2018 Nella Bibbia i comandamenti non vivono per sé stessi, ma sono parte di un rapporto, una relazione. Il Signore Gesù non è venuto ad abolire la Legge, ma a dare il compimento. E c’è quella relazione dell’Alleanza fra Dio e il suo Popolo. All’inizio del capitolo 20 del libro dell’Esodo leggiamo – e questo è importante – : «Dio pronunciò tutte queste parole». Sembra un’apertura come un’altra, ma niente nella Bibbia è banale. Il testo non dice: “Dio pronunciò questi comandamenti”, ma «queste parole». La tradizione ebraica chiamerà sempre il Decalogo “le dieci Parole”. E il termine “decalogo” vuol dire proprio questo. Eppure hanno forma di leggi, sono oggettivamente dei comandamenti. Perché, dunque, l’Autore sacro usa, proprio qui, il termine “dieci parole”? Perché? E non dice “dieci comandamenti”? Che differenza c’è fra un comando e una parola? Il comando è una comunicazione che non richiede il dialogo. La parola, invece, è il mezzo essenziale della relazione come dialogo. Giovanni Paolo I, udienza generale 6 settembre 1978 I comandamenti sono un po' più difficili, qualche volta tanto difficili da osservare; ma Dio ce li ha dati non per capriccio, non per suo interesse, bensì unicamente per interesse nostro. Uno, una volta, è andato a comperare un'automobile dal concessionario. Questi gli ha fatto un discorso: guardi che la macchina ha buone prestazioni, la tratti bene, sa? Benzina super nel serbatoio, e, per i giunti, olio, di quello fino. L'altro invece: Oh, no, per sua norma, io neanche l'odore della benzina posso sopportare, e neanche l'olio; nel serbatoio metterò spumante, che mi piace tanto e i giunti li ungerò con la marmellata. Faccia come crede; però non venga a lamentarsi, se finirà in un fosso, con la sua macchina! Il Signore ha fatto qualcosa di simile con noi: ci ha dato questo corpo, animato da un'anima intelligente, una buona volontà. Ha detto: questa macchina vale, ma trattala bene. Ecco i comandamenti. Onora il Padre e la Madre, non uccidere, non arrabbiarti, sii delicato, non dire bugie, non rubare... Se fossimo capaci di osservare i comandamenti, andremmo meglio noi e andrebbe meglio anche il mondo. Benedetto XVI, videomessaggio per l’iniziativa “10 piazze per 10 comandamenti”, 8 settembre 2012 Il Decalogo ci riporta al Monte Sinai, quando Dio entra in modo particolare nella storia del popolo ebreo, e tramite questo popolo nella storia dell’intera umanità, donando le «Dieci Parole» che esprimono la sua volontà e che sono una sorta di «codice etico» per costruire una società in cui il rapporto di alleanza con il Dio Santo e Giusto illumini e guidi i rapporti tra le persone. E Gesù viene a dare compimento a queste parole, innalzandole e riassumendole nel duplice comandamento dell’amore: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente… Amerai il prossimo tuo come te stesso» (cfr Mt 22,37-40). Ma domandiamoci: che senso hanno queste Dieci Parole per noi, nell’attuale contesto culturale, in cui secolarismo e relativismo rischiano di diventare i criteri di ogni scelta e in questa nostra società che sembra vivere come se Dio non esistesse? Noi rispondiamo che Dio ci ha donato i Comandamenti per educarci alla vera libertà e all’amore autentico, così che possiamo essere davvero felici. Giovanni Paolo II, celebrazione in una parrocchia ad Ostia Lido, 10 marzo 1985 L’osservanza di queste norme, di questi comandamenti imprime sulle nostre opere il segno del bene, rende l’uomo buono. L’infrazione, la trasgressione di esse imprime sulle nostre opere il segno del male: rende l’uomo cattivo. Questo bene e questo male riguardano l’uomo nella sua stessa umanità. Mediante il bene morale l’uomo, come uomo, diventa ed è buono. Mediante il male morale l’uomo, come uomo, diventa ed è cattivo. Si tratta quindi del problema fondamentale dal punto di vista dello stesso valore essenziale dell’uomo. (...) È Dio che proclama questa Legge: il...

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Ep. 152 - Papale papale -"Creazione"

4/23/2024
Francesco, udienza generale 20 maggio 2020 La vita, il semplice fatto che esistiamo, apre il cuore dell’uomo alla preghiera. La prima pagina della Bibbia assomiglia ad un grande inno di ringraziamento. Il racconto della Creazione è ritmato da ritornelli, dove viene continuamente ribadita la bontà e la bellezza di ogni cosa che esiste. Dio, con la sua parola, chiama alla vita, ed ogni cosa accede all’esistenza. Con la parola, separa la luce dalle tenebre, alterna il giorno e la notte, avvicenda le stagioni, apre una tavolozza di colori con la varietà delle piante e degli animali. In questa foresta straripante che rapidamente sconfigge il caos, per ultimo appare l’uomo. E questa apparizione provoca un eccesso di esultanza che amplifica la soddisfazione e la gioia: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31). Cosa buona, ma anche bella: si vede la bellezza di tutto il Creato! La bellezza e il mistero della Creazione generano nel cuore dell’uomo il primo moto che suscita la preghiera. Benedetto XVI, Veglia pasquale 23 aprile 2011 Il racconto della creazione ci dice, dunque, che il mondo è un prodotto della Ragione creatrice. E con ciò esso ci dice che all’origine di tutte le cose non stava ciò che è senza ragione, senza libertà, bensì il principio di tutte le cose è la Ragione creatrice, è l’amore, è la libertà. Qui ci troviamo di fronte all’alternativa ultima che è in gioco nella disputa tra fede ed incredulità: sono l’irrazionalità, l'assenza di libertà e il caso il principio di tutto, oppure sono ragione, libertà, amore il principio dell’essere? Il primato spetta all’irrazionalità o alla ragione? È questa la domanda di cui si tratta in ultima analisi. Come credenti rispondiamo con il racconto della creazione e con San Giovanni: all’origine sta la ragione. All’origine sta la libertà. (...) L’alleanza, la comunione tra Dio e l’uomo, è predisposta nel più profondo della creazione. Sì, l’alleanza è la ragione intrinseca della creazione come la creazione è il presupposto esteriore dell’alleanza. Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. Giovanni Paolo II, udienza generale 9 luglio 1986 Tutto ciò che appartiene alla creazione rientra, secondo la rivelazione, nel mistero della divina Provvidenza. Lo afferma in modo esemplarmente conciso il Vaticano I che abbiamo già più volte citato: “Tutto ciò che ha creato, Dio lo conserva e lo dirige con la sua provvidenza «estendendosi da un confine all’altro con forza e governando con bontà ogni cosa» (cf. Sap 8, 1). «Tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi» (cf. Eb 4, 13), «anche ciò che avrà luogo per libera iniziativa delle creature»” (DS 3003). La Provvidenza abbraccia dunque anche il mondo dei puri spiriti, che ancor più pienamente degli uomini sono esseri razionali e liberi. Nella Sacra Scrittura troviamo preziose indicazioni che li riguardano. Vi è pure la rivelazione di un dramma misterioso, eppure reale, che toccò queste creature angeliche, senza che nulla sfuggisse all’eterna Sapienza, la quale con forza (“fortiter”) e al tempo stesso con bontà (“suaviter”) tutto porta a compimento nel regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Pio XII, radiomessaggio ai popoli del mondo 22 dicembre 1957 L'uomo, fin dal primo incontro con l'universo, fu rapito dalla incomparabile sua bellezza ed armonia. Il cielo sfavillante di luce o trapunto di stelle, gli oceani dalle tinte cangianti delle loro immense distese, le vette inaccessibili dei monti coronati di nevi, le verdi foreste frementi di vita, l'avvicendarsi ordinato delle stagioni, la multiforme varietà degli esseri, gli strapparono dal cuore un grido di ammirazione! Connaturato egli stesso alla bellezza, la intravide perfino negli elementi scatenati, quali espressioni della potenza del Creatore: « Potentior aestibus maris, potens in excelsis Deus » (Ps. 92, 4); « Tonabit Deus in voce sua mirabiliter » ( Job 37, 5). Con...

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Ep. 151 - Papale papale -"Bibbia"

4/22/2024
Benedetto XVI, udienza generale 3 agosto 2011 La Bibbia – come dice il nome – è una raccolta di libri, una piccola “biblioteca”, nata nel corso di un millennio. Alcuni di questi “libretti” che la compongono rimangono quasi sconosciuti alla maggior parte delle persone, anche buoni cristiani. Alcuni sono molto brevi, come il Libro di Tobia, un racconto che contiene un senso molto alto della famiglia e del matrimonio; o il Libro di Ester, in cui la Regina ebrea, con la fede e la preghiera, salva il suo popolo dallo sterminio; o, ancora più breve, il Libro di Rut, una straniera che conosce Dio e sperimenta la sua provvidenza. Questi piccoli libri si possono leggere per intero in un’ora. Più impegnativi, e autentici capolavori, sono il Libro di Giobbe, che affronta il grande problema del dolore innocente; il Qoèlet, che colpisce per la sconcertante modernità con cui mette in discussione il senso della vita e del mondo; il Cantico dei Cantici, stupendo poema simbolico dell’amore umano. Come vedete, questi sono tutti libri dell’Antico Testamento. E il Nuovo? Certo, il Nuovo Testamento è più conosciuto, e i generi letterari sono meno diversificati. Però, la bellezza di leggere un Vangelo tutto di seguito è da scoprire, come pure raccomando gli Atti degli Apostoli, o una delle Lettere. Giovanni Paolo II, udienza generale 15 gennaio 1986 La Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) è permeata infatti dalla verità circa la creazione e circa il Dio creatore. Il primo libro della Bibbia, il Libro della Genesi, inizia con l’asserzione di questa verità: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1, 1). Su tale verità ritornano numerosi altri passi biblici, mostrando quanto profondamente essa abbia penetrato la fede di Israele. Ricordiamone almeno alcuni. È detto nei Salmi: “Del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti. È lui che l’ha fondata sui mari” (Sal 23, 1-2). “Tuoi sono i cieli, tua è la terra, tu hai fondato il mondo e quanto contiene” (Sal 88, 12). “Suo è il mare, egli l’ha fatto, le sue mani hanno plasmato la terra” (Sal 94, 5). “Della tua grazia è piena la terra. Dalla parola del Signore furono fatti i cieli . . . Perché egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste” (Sal 32, 5-6. 9). “Siate benedetti dal Signore che ha fatto cielo e terra” (Sal 115, 15). Giovanni Paolo I, udienza generale 27 settembre 1978 Alcune persone è facile amarle; altre, è difficile; non ci sono simpatiche, ci hanno offeso e fatto del male; soltanto se amo Dio sul serio, arrivo ad amarle, in quanto figlie di Dio e perché questi me lo domanda. Gesù ha anche fissato come amare il prossimo: non solo cioè con il sentimento, ma coi fatti. Questo è il modo, disse. Vi chiederò: Avevo fame nella persona dei miei fratelli più piccoli, mi avete dato da mangiare? Mi avete visitato, quand'ero infermo? Il catechismo traduce queste ed altre parole della Bibbia nel doppio elenco delle sette opere di misericordia corporali e sette spirituali. L'elenco non è completo e bisognerebbe aggiornarlo. Fra gli affamati, per esempio, oggi, non si tratta più soltanto di questo o quell'individuo; ci sono popoli interi. Francesco, Angelus 5 marzo 2017 La Bibbia contiene la Parola di Dio, che è sempre attuale ed efficace. Qualcuno ha detto: cosa succederebbe se trattassimo la Bibbia come trattiamo il nostro telefono cellulare? Se la portassimo sempre con noi, o almeno il piccolo Vangelo tascabile, cosa succederebbe?; se tornassimo indietro quando la dimentichiamo: tu ti dimentichi il telefono cellulare - oh!, non ce l’ho, torno indietro a cercarlo; se la aprissimo diverse volte al giorno; se leggessimo i messaggi di Dio contenuti nella Bibbia come leggiamo i messaggi del telefonino, cosa succederebbe? Chiaramente il paragone è paradossale, ma fa riflettere. In effetti, se avessimo la Parola di Dio sempre nel cuore, nessuna tentazione potrebbe allontanarci da Dio e nessun ostacolo ci potrebbe far deviare dalla strada del bene; sapremmo vincere le...

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Ep. 150 - Papale papale -"Vino"

4/19/2024
Giovanni XXIII Santa Messa nella basilica lateranense 23 novembre 1958 Gesù è il nostro Salvatore, e noi partecipiamo misticamente al Corpo suo, la Santa Chiesa. (...) La vita cristiana è sacrificio. Nel sacrificio animato dalla carità sta il merito della conformità nostra a ciò che fu lo scopo finale della vita terrena di Gesù. (...) Il Calice sull'altare e i riti venerandi che congiungono il pane e il vino consacrati in un solo Sacramento, segnano il punto più alto, la sublimità della unione tra Dio e l'uomo, e la perfezione della professione cristiana. Paolo VI, rito penitenziale nella parrocchia di San Giovanni Crisostomo, 16 marzo 1969 Il Signore si dà a noi sotto determinate forme, sotto le specie del pane e del vino. Certo, noi avremmo preferito di vederlo in persona. Invece egli ha voluto perpetuare il suo dono non in modo manifesto, bensì velato. Del resto, molto spesso - e l’evangelista Giovanni ne presenta una cospicua serie - il Signore, parlando di sé, usa delle avvincenti similitudini: Io sono la porta per entrare nel Regno dei Cieli . . . : Io sono il Buon Pastore, in analogia a chi guida e governa un gregge . . . : Io sono la vite e voi i tralci, per indicare efficacemente la trasfusione della linfa dal ceppo ai rami . . . ; Chi ha sete venga da me e beva, io sono la fonte. Giovanni Paolo II, udienza generale 26 febbraio 1997 Nell'episodio delle nozze di Cana, san Giovanni presenta il primo intervento di Maria nella vita pubblica di Gesù e pone in risalto la sua cooperazione alla missione del Figlio. (...) Rivolgendosi a Gesù con le parole: "Non hanno più vino" (Gv 2, 3), Maria gli esprime la sua preoccupazione per tale situazione, attendendone un intervento risolutore. (...) A Cana la Vergine mostra ancora una volta la sua totale disponibilità a Dio. (...) Fidando nel potere non ancora svelato di Gesù, provoca il suo "primo segno", la prodigiosa trasformazione dell'acqua in vino. Benedetto XVI, incontro con i giovani fidanzati ad Ancona, 11 settembre 2011 Per certi aspetti, il nostro è un tempo non facile, soprattutto per voi giovani. La tavola è imbandita di tante cose prelibate, ma, come nell’episodio evangelico delle nozze di Cana, sembra che sia venuto a mancare il vino della festa. Soprattutto la difficoltà di trovare un lavoro stabile stende un velo di incertezza sull’avvenire. (...) Alle nozze di Cana, quando venne a mancare il vino, Maria invitò i servi a rivolgersi a Gesù e diede loro un’indicazione precisa: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). Fate tesoro di queste parole, le ultime di Maria riportate nei Vangeli, quasi un suo testamento spirituale, e avrete sempre la gioia della festa: Gesù è il vino della festa! Francesco, Angelus 16 gennaio 2022 Ma c’è un altro tratto distintivo del segno di Cana. In genere il vino che si dava alla fine della festa era quello meno buono; anche oggi si fa così, la gente a quel punto non distingue tanto bene se è un vino buono o è un vino un po’ annacquato. Gesù, invece, fa in modo che la festa si concluda con il vino migliore. Simbolicamente questo ci dice che Dio vuole per noi il meglio, ci vuole felici. Non si pone limiti e non ci chiede interessi. Nel segno di Gesù non c’è spazio per secondi fini, per pretese verso gli sposi. No, la gioia che Gesù lascia nel cuore è gioia piena e disinteressata. Non è una gioia annacquata!

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Ep. 149 - Papale papale -"Pane"

4/18/2024
Francesco, udienza generale 27 marzo 2019 Passiamo oggi ad analizzare la seconda parte del “Padre nostro”, quella in cui presentiamo a Dio le nostre necessità. Questa seconda parte comincia con una parola che profuma di quotidiano: il pane. La preghiera di Gesù parte da una domanda impellente, che molto somiglia all’implorazione di un mendicante: “Dacci il pane quotidiano!”. Questa preghiera proviene da un’evidenza che spesso dimentichiamo, vale a dire che non siamo creature autosufficienti, e che tutti i giorni abbiamo bisogno di nutrirci. Le Scritture ci mostrano che per tanta gente l’incontro con Gesù si è realizzato a partire da una domanda. Gesù non chiede invocazioni raffinate, anzi, tutta l’esistenza umana, con i suoi problemi più concreti e quotidiani, può diventare preghiera. Nei Vangeli troviamo una moltitudine di mendicanti che supplicano liberazione e salvezza. Chi domanda il pane, chi la guarigione; alcuni la purificazione, altri la vista; o che una persona cara possa rivivere... Gesù non passa mai indifferente accanto a queste richieste e a questi dolori. Benedetto XVI, Angelus 12 agosto 2012 La lettura del 6° capitolo del Vangelo di Giovanni (...) ci ha condotti a riflettere sulla moltiplicazione del pane, con il quale il Signore ha sfamato una folla di cinquemila uomini, e sull’invito che Gesù rivolge a quanti aveva saziato di darsi da fare per un cibo che rimane per la vita eterna. Gesù vuole aiutarli a comprendere il significato profondo del prodigio che ha operato: nel saziare in modo miracoloso la loro fame fisica, li dispone ad accogliere l’annuncio che Egli è il pane disceso dal cielo (cfr Gv 6,41), che sazia in modo definitivo. Anche il popolo ebraico, durante il lungo cammino nel deserto, aveva sperimentato un pane disceso dal cielo, la manna, che lo aveva mantenuto in vita, fino all’arrivo nella terra promessa. Ora, Gesù parla di sé come del vero pane disceso dal cielo, capace di mantenere in vita non per un momento o per un tratto di cammino, ma per sempre. Lui è il cibo che dà la vita eterna, perché è il Figlio unigenito di Dio, che sta nel seno del Padre, venuto per dare all’uomo la vita in pienezza, per introdurre l’uomo nella stessa vita di Dio. Giovanni XXIII, radiomessaggio in occasione del Natale 21 dicembre 1961 Oh! quanto sono chiare a questo proposito le parole dei Profeti e dei Salmi, nell'inculcare a nome di Dio la bontà e l'amore! Ecco, dice Isaia, « slega i fastelli che gravano : manda liberi gli oppressi, e rompi ogni peso. Spezza il tuo pane all'affamato, e introduci in casa tua i poveri e i raminghi; se vedi un ignudo, ricoprilo, e non disprezzare la tua propria carne. ... E il Signore ti darà sempre riposo e riempirà di splendori l'anima tua. Paolo VI, Angelus 23 luglio 1978 Non dimentichiamo di ringraziare la bontà del Signore per il pane che ci dà ogni giorno; pensiamo a coloro che, accanto a noi o lontani da noi, stanno lottando non solo per vivere, ma per sopravvivere, e diamo loro una mano generosa, sia perché ne hanno bisogno, ma soprattutto perché sono nostri fratelli e portano impressa nello spirito immortale la stessa somiglianza con Dio Creatore e Redentore. Giovanni Paolo II, Santa Messa per i dipendenti delle Ville Pontificie 29 luglio 1979 È lui, il Padre celeste, che ci dona il vero pane! Questo pane, di cui abbiamo bisogno, è anzitutto il Cristo, il quale si dona a noi nei segni sacramentali dell’Eucaristia, e ci fa sentire, in ogni Messa, le parole dell’ultima Cena: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. Col sacramento del pane eucaristico – afferma il Concilio Vaticano II – “viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo Corpo in Cristo (cf. 1Cor 10,17). Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo che è luce del mondo; da lui veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti”. Il pane di cui abbiamo bisogno è, inoltre, la parola di Dio, perché “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di...

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Ep. 148 - Papale papale -"Lievito"

4/17/2024
Benedetto XVI, udienza generale 28 novembre 2012 Parlare di Dio richiede una familiarità con Gesù e il suo Vangelo, suppone una nostra personale e reale conoscenza di Dio e una forte passione per il suo progetto di salvezza, senza cedere alla tentazione del successo, ma seguendo il metodo di Dio stesso.Il metodo di Dio è quello dell’umiltà – Dio si fa uno di noi – è il metodo realizzato nell’Incarnazione nella semplice casa di Nazaret e nella grotta di Betlemme, quello della parabola del granellino di senape. Occorre non temere l’umiltà dei piccoli passi e confidare nel lievito che penetra nella pasta e lentamente la fa crescere (cfr Mt 13,33). Pio XII, radiomessaggio ai fedeli romani 10 febbraio 1952 Come potremmo Noi, posti da Dio, sebbene indegni, fiaccola nelle tenebre, sale della terra, Pastore del gregge cristiano, respingere questa missione salutifera? Come accettammo, in un giorno ormai lontano, perché a Dio così piacque, la pesante croce del Pontificato, così ora Ci sottomettiamo all'arduo ufficio di essere, per quanto lo permettono le Nostre deboli forze, araldi di un mondo migliore, da Dio voluto, e il cui vessillo bramiamo in primo luogo di consegnare a voi, diletti figli di Roma, a Noi più vicini e alle Nostre cure più particolarmente affidati, e per ciò stesso anche voi posti quali fiaccole sul candelabro, lievito tra i fratelli, città sul monte; a voi, dai quali a buon diritto altri si attendono maggior coraggio e più generosa prontezza. Accogliete con nobile impeto di dedizione, riconoscendola come chiamata di Dio e degna ragione di vita, la santa consegna, che il vostro Pastore e Padre oggi vi affida: dare inizio a un potente risveglio di pensiero e di opere. Giovanni XXIII, discorso ai cooperatori salesiani, 31 maggio 1962 Continuate gioiosamente il vostro cammino, siate coscienti delle grandi possibilità che avete di fare il bene, operatelo coraggiosamente e serenamente, siate il lievito destinato a fermentare la massa. Questa parola giunge ora alle vostre anime, direttamente a ciascuno di voi, ma si estende a tutto il laicato di azione cattolica, dei terz'ordini, delle confraternite, delle pie unioni. Noi vi accompagniamo tutti con la Nostra preghiera, affinché, con l'intercessione della Beata Vergine Ausiliatrice, di S. Francesco di Sales e di S. Giovanni Bosco, e della luminosa costellazione di tanti altri Santi protettori dell'apostolato dei laici, possiate fruttificare a Dio con ogni opera buona e bella. Giovanni Paolo II, udienza generale 25 aprile 1979 Ciò che si è compiuto a Nazaret, a Betlemme e a Gerusalemme è storia e, nello stesso tempo, è fermento della storia. E benché la storia degli uomini e dei popoli si sia svolta e continui a svolgersi per strade proprie, benché la storia di Roma – allora al vertice del suo antico splendore – sia passata quasi inavvertitamente accanto alla nascita, alla vita, alla passione, alla morte e alla risurrezione di Gesù di Nazaret, tuttavia questi eventi salvifici sono diventati nuovo lievito nella storia dell’uomo. Sono diventati nuovo lievito particolarmente nella storia di Roma. Francesco, discorso ai giovani dell’Azione Cattolica 29 ottobre 2022 Se un cristiano è in Cristo, se è un fratello nel Signore, se è animato dallo Spirito, non può che essere lievito dove vive: lievito di umanità, perché Gesù Cristo è l’Uomo perfetto e il suo Vangelo è forza umanizzante. Mi piace molto un’espressione che voi usate: “essere impastati in questo mondo”. È il principio di incarnazione, la strada di Gesù: portare la vita nuova dall’interno, non da fuori, no, da dentro. Ma a una condizione, però, che sembrerebbe ovvia ma non lo è: che il lievito sia lievito, che il sale sia sale, che la luce sia luce. Ma se il lievito è un’altra cosa, non va; se il sale è un’altra cosa, non va; se la luce è oscurità, non va. Altrimenti, se, stando nel mondo, ci mondanizziamo, perdiamo la novità di Cristo e non abbiamo più niente da dire o da dare. E qui viene buona l’altra vostra espressione...

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Ep. 147 - Papale papale -"Sangue"

4/16/2024
Francesco, discorso ai partecipanti all’incontro promosso dalle famiglie del Preziosissimo Sangue, 30 giugno 2018 Dio ha scelto il segno del sangue, perché nessun altro segno è così eloquente per esprimere l’amore supremo della vita donata agli altri. Questa donazione si ripete in ogni celebrazione eucaristica, nella quale si rende presente, insieme col Corpo di Cristo, il suo Sangue prezioso, il Sangue della nuova ed eterna Alleanza, versato per tutti in remissione dei peccati (cfr Mt 26,27). La meditazione del sacrificio di Cristo ci induce a compiere opere di misericordia, donando la nostra vita per Dio e i fratelli senza risparmio. La meditazione del mistero del Sangue di Cristo versato sulla croce per la nostra redenzione, ci spinge, in particolare, verso quanti potrebbero essere curati nelle loro sofferenze morali e fisiche e sono invece lasciati languire ai margini di una società del consumo e dell’indifferenza. Pio XII, radiomessaggio ai governanti e ai popoli 24 agosto 1939 Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. (...) Ci ascoltino i forti, per non diventar deboli nella ingiustizia. Ci ascoltino i potenti, se vogliono che la loro potenza sia non distruzione, ma sostegno per i popoli e tutela a tranquillità nell’ordine e nel lavoro. Noi li supplichiamo per il sangue di Cristo, la cui forza vincitrice del mondo fu la mansuetudine nella vita e nella morte. E supplicandoli, sappiamo e sentiamo di aver con Noi tutti i retti di cuore; tutti quelli che hanno fame e sete di Giustizia — tutti quelli che soffrono già, per i mali della vita, ogni dolore. Giovanni XXIII, radiomessaggio per la promozione della pace nel mondo 10 settembre 1961 Sempre, sempre preghiamo tutti insieme per la pace di Cristo quaggiù fra tutti gli uomini di buona volontà... A te ci volgiamo o beatissima Vergine Maria, Madre di Gesù e Madre nostra. Possiamo noi, col cuore tremante, occuparci intorno al più grande problema di vita o di morte, che incombe sulla umanità tutta intera, senza che ci confidiamo alla tua intercessione, a preservarci a periculis cunctis? Questa è l'ora tua, o Maria. A te ci affidò Gesù benedetto nel momento estremo del suo sacrificio di sangue. Noi siamo sicuri del tuo intervento. Benedetto XVI, omelia nella Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo 7 giugno 2007 Gesù dichiarò apertamente di essere venuto per darci in cibo la sua carne e il suo sangue (cfr Gv 6,26-58). Il linguaggio apparve “duro” e molti si tirarono indietro. Allora come adesso, l’Eucaristia resta “segno di contraddizione” e non può non esserlo, perché un Dio che si fa carne e sacrifica se stesso per la vita del mondo pone in crisi la sapienza degli uomini. Ma con umile fiducia, la Chiesa fa propria la fede di Pietro e degli altri Apostoli, e con loro proclama: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Rinnoviamo pure noi questa sera la professione di fede nel Cristo vivo e presente nell’Eucaristia. Sì, “è certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino”. Paolo VI, omelia nella Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo 10 giugno 1971 Perciò ascoltate ancora questo linguaggio, proprio dell’Eucaristia. Vi dicevamo: Gesù sarà presente. Ma come sarà presente? Sarà presente, sia pure in modo incruento, come «l’uomo dei dolori» (Cfr. Is. 53, 3); come vittima, come «agnello di Dio» (Io. 1, 29); sarà presente come era nell’ora della sua passione, del suo sacrificio, come crocifisso. Questo significa la duplice specie del pane e del vino, figure del Corpo e del Sangue del medesimo Cristo. Gesù si offre per noi e a noi com’era sulla croce, immolato, straziato, consumato nel dolore portato al suo più alto grado di sensibilità fisica e di desolazione spirituale. Giovanni Paolo II, discorso ai partecipanti alla marcia della solidarietà organizzata dai dirigenti dell’associazione volontari italiani del sangue e donatori di organi 2 agosto 1984...

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Ep. 146 - Papale papale -"Carne"

4/15/2024
Giovanni Paolo II, udienza generale 17 dicembre 1980 La "carne", nel linguaggio delle lettere di San Paolo, indica non soltanto l’uomo "esteriore", ma anche l’uomo "interiormente" assoggettato al "mondo", in certo senso chiuso nell’ambito di quei valori che appartengono solo al mondo e di quei fini che esso è capace di imporre all’uomo: valori, pertanto, ai quali l’uomo in quanto "carne" è appunto sensibile. Così il linguaggio di Paolo sembra allacciarsi ai contenuti essenziali di Giovanni, ed il linguaggio di entrambi denota ciò che viene definito da vari termini dell’etica e dell’antropologia contemporanee, come ad esempio: "Autarchia umanistica", "secolarismo" o anche, con significato generale, "sensualismo". L’uomo che vive "secondo la carne" è l’uomo disposto soltanto a ciò che viene "dal mondo": è l’uomo dei "sensi", l’uomo della triplice concupiscenza. Pio XII, radiomessaggio per la fine della guerra in Europa 9 maggio 1945 La guerra ha suscitato dappertutto discordia, diffidenza ed odio. Se dunque il mondo vuol ricuperare la pace, occorre che spariscano la menzogna e il rancore e in luogo loro dominino sovrane la verità e la carità. Innanzi tutto pertanto supplichiamo istantemente nelle nostre preghiere quotidiane il Dio d'amore di adempire la sua promessa fatta per bocca del profeta Ezechiele:.«Io darò loro un cuore unanime, un nuovo spirito infonderò nel loro interno, e strapperò dalle loro viscere il cuore di sasso e vi sostituirò un cuore di carne, affinché camminino sulla via dei miei precetti e osservino i miei giudizi e li mettano in pratica, ed essi siano il mio popolo e io sia il loro Dio» (Ez 11,19-20). Benedetto XVI, udienza generale 9 gennaio 2013 “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14). Qui la parola “carne”, secondo l'uso ebraico, indica l’uomo nella sua integralità, tutto l'uomo, ma proprio sotto l’aspetto della sua caducità e temporalità, della sua povertà e contingenza. Questo per dirci che la salvezza portata dal Dio fattosi carne in Gesù di Nazaret tocca l’uomo nella sua realtà concreta e in qualunque situazione si trovi. Dio ha assunto la condizione umana per sanarla da tutto ciò che la separa da Lui, per permetterci di chiamarlo, nel suo Figlio Unigenito, con il nome di “Abbà, Padre” ed essere veramente figli di Dio. Sant’Ireneo afferma: «Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio». “Il Verbo si fece carne” è una di quelle verità a cui ci siamo così abituati che quasi non ci colpisce più la grandezza dell’evento che essa esprime. Francesco, Angelus 2 gennaio 2022 Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Queste parole, se ci pensiamo, contengono un paradosso. Mettono insieme due realtà opposte: il Verbo e la carne. “Verbo” indica che Gesù è la Parola eterna del Padre, Parola infinita, che esiste da sempre, prima di tutte le cose create; “carne” indica invece proprio la nostra realtà, realtà creata, fragile, limitata, mortale. Prima di Gesù erano due mondi separati: il Cielo opposto alla terra, l’infinito opposto al finito, lo spirito opposto alla materia. E c’è un’altra opposizione nel Prologo del Vangelo di Giovanni, un altro binomio: luce e tenebre (cfr v. 5). Gesù è la luce di Dio entrata nelle tenebre del mondo. Luce e tenebre. Dio è luce: in Lui non c’è opacità; in noi, invece, ci sono molte oscurità. Ora, con Gesù, si incontrano Luce e tenebre: santità e colpa, grazia e peccato. Gesù, l’incarnazione di Gesù è proprio il luogo dell’incontro, dell’incontro tra Dio e gli uomini, l’incontro tra la grazia e il peccato.

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Ep. 145 - Papale papale -"Cieli"

4/12/2024
Francesco, Angelus 12 gennaio 2014 Se i cieli rimangono chiusi, il nostro orizzonte in questa vita terrena è buio, senza speranza. Invece, celebrando il Natale, la fede ancora una volta ci ha dato la certezza che i cieli si sono squarciati con la venuta di Gesù. E nel giorno del battesimo di Cristo ancora contempliamo i cieli aperti. La manifestazione del Figlio di Dio sulla terra segna l’inizio del grande tempo della misericordia, dopo che il peccato aveva chiuso i cieli, elevando come una barriera tra l’essere umano e il suo Creatore. Con la nascita di Gesù i cieli si aprono! Dio ci dà nel Cristo la garanzia di un amore indistruttibile. Da quando il Verbo si è fatto carne è dunque possibile vedere i cieli aperti. Benedetto XVI, udienza generale 6 febbraio 2013 Ma vorrei dire una parola anche su quello che è il vertice dell’intera creazione: l’uomo e la donna, l’essere umano, l’unico “capace di conoscere e di amare il suo Creatore”. Il Salmista guardando i cieli si chiede: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (8,4-5). L’essere umano, creato con amore da Dio, è ben piccola cosa davanti all’immensità dell’universo; a volte, guardando affascinati le enormi distese del firmamento, anche noi abbiamo percepito la nostra limitatezza. L’essere umano è abitato da questo paradosso: la nostra piccolezza e la nostra caducità convivono con la grandezza di ciò che l’amore eterno di Dio ha voluto per lui. Giovanni XXIII, radiomessaggio ai fanciulli infermi, 15 febbraio 1959 Come Gesù amava ed ama con preferenza speciale i piccoli, « perchè di essi è il Regno dei Cieli », così Noi intendiamo essere vicini, col Nostro paterno affetto, a tutti i cari ragazzi ai quali, nell'età rosea delle più belle speranze, già si è schiusa la dolorosa via della Croce. Assicuriamo pertanto a tutti cotesti diletti figli che la Nostra preghiera incessantemente sale al Signore, per chiedergli con immensa fiducia di ridonar loro presto la sospirata guarigione, la serenità e il conforto nella prova passeggera, la rassegnazione filiale ai suoi santi voleri. Giovanni Paolo II, solennità di tutti i Santi 1 novembre 1981 Desidero ricordare le parole di Cristo nel discorso della montagna.... “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi a causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,3-12).

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